Corriere della Sera - La Lettura
In Germania, con abiti di seta in valigia
Rievoca, in forma di romanzo, il viaggio della madre dalla Cina
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La ventisettenne senza nome che racconta in prima persona ha tratti troppo enigmatici perché si possa inquadrarla a prima vista. Ha i capelli scuri e ondulati, la pelle chiara, gli occhi grandi dalla forma allungata che tradisce un’esoticità indefinibile. Lei non collabora, anzi la diverte fare del proprio aspetto «una specie di indovinello». Chi tira a indovinare: Grecia? Hawaii? Kazakistan? — quasi sempre sbaglia. Chi la legge ha molte chance in più. Lin Hierse — cognome tedesco, nome cinese scelto dalla mamma di Shanghai — è nata a Braunschweig 34 anni fa, vive a Berlino e con Sogni di giada, ha inventato un personaggio che le assomiglia tanto da poterle confondere. Gli episodi di vicenda familiare sono giustapposti come le scene che illustrano una calligrafia cinese.
Anche i sinogrammi sono incastonati come gioielli nel flusso della prosa tedesca (ben tradotta da Federica Garlaschelli) che dice dei funerali della nonna a Shaoxing, dell’infanzia della madre, dei canti intonati a scuola per Mao Zedong, del lavoro da operaia a Jinshan… E del suo Grande Viaggio — intrapreso con la valigia rossa colma di vestiti di seta inadatti alla vita in Germania — che per le autorità tedesche si chiama «migrazione» ma per Ma era svolta e tradimento, sfida e smarrimento, e per la figlia un interrogativo costante su identità, distanza, appartenenza. «Nessuno era presente quando Ma decise di preparare la sua valigia. Non so se lo si possa capire senza essere stati presenti. Non so se si possa raccontarlo senza capirlo».
Con questo dubbio Lin racconta. Ciò che racconta è tutto vero. Pazienza se il tempo sbiadisce i dettagli come quelli di un sogno o se li arricchisce delle tinte della fantasticheria. Il segreto della propria storia chi narra lo ha impresso nei tratti: «È impegnativo avere una madre che lascia impronte di sé nei pensieri e nel corpo della figlia». Lo stesso imprinting affiora nel modo in cui Hierse fa letteratura. Nel gusto di deporre immagini sulla pagina, cristalline e misteriose, nitide e arcane come scene dell’infanzia, memorie di un altro, visioni di un sogno.