Corriere della Sera - La Lettura

Anne Carson Il canto ha tre lati

L’autrice canadese, docente di greco antico, nei suoi testi rilegge e reinterpre­ta le figure del mito nell’attualità dell’esistenza. Un’autrice italiana, che il 20 maggio la presenterà alla Milanesian­a, la ritrova in una New York notturna con la scrittric

- Di CLAUDIA DURASTANTI di CRISTINA TAGLIETTI

Cose che non ho detto a un ragazzo con una copia di Autobiogra­fia del Rosso nella tasca dei jeans sulla metro di New York alle 3 del mattino. Sei stravolto, ti sei addormenta­to nel vagone, sembri appena scappato da uno zoo. Sei arrivato in città dopo che il tuo fidanzato ti ha piantato. Hai bruciato la carta di identità, la puzza della plastica ti ha fatto venire la nausea. Prima di lasciarti, ti ha dato un libro che si chiama Autobiogra­fia del Rosso. Lo hai sfogliato, poi te lo sei messo in tasca.

Per non fissarti, guardo i graffiti nella metro, somigliano ai frammenti dei poeti che non ho mai letto. «Lotta contro la tua sete», c’è scritto sopra la tua testa. Non si capisce se è la pubblicità di una bibita in lattina o il monito di una persona disperata che vorrebbe tutto. «Tutto è risate e polvere indicibile». Potrebbe essere il verso di una canzone nella categoria «Greco Antico» su Spotify. I graffiti sono opere semilavora­te, come gli ottanta frammenti di Stesicoro che Anne Carson ha riprodotto per scrivere Autobiogra­fia del rosso e riprendere la storia di Gerione, un personaggi­o presente nella decima fatica di Eracle. Un essere mostruoso alato e rosso che un giorno, per tenere conto della propria sete, ha iniziato a scrivere un diario. Chissà se ne hai uno anche tu. La metro di New York è divisa in numeri e lettere e non si ferma mai; nei suoi vagoni dorme chi non sa dove altro andare. Come te, come Gerione: tutti e due somigliate ai ragazzini che si infilavano nei fast-food dell’antica Grecia per sentirsi dire: «Non sei tu, sono io». Non ti preoccupar­e, troverai qualcun altro.

Stando alle opinioni dei senza fissa dimora, le linee migliori per dormire sono quelle della serie A-C-E. In inglese, ace vuol dire asso, fenomeno, ma è anche un colpo inesorabil­e nel tennis, che l’avversario fatica ad accettare. Anne Carson fa la traduttric­e, un mestiere che sconquassa il cervello e non fa vedere più le parole nello stesso modo. Le parole rimbalzano. Le parole, a lasciarle fare, fanno quello che vogliono e che devono fare. La palla è arrivata dove doveva arrivare, ma chi l’ha lanciata?

Frasi che iniziano con la A nella traduzione di Autobiogra­fia del Rosso, a cura di Sergio Claudio Perroni: Amava i lampi; Allora chi sarebbe questo ragazzo con cui adesso passi tutto il tuo tempo; Allegre piccole comitive d’insetti; Altroché angeli caduti; Adesso il mio mondo è lentissimo; Abulia, presa tra lingua e sapore; Aveva i polmoni assediati dal fuoco.

Quelle che iniziano con la C: Come rose arse vive; Ci fu uno di quegli istanti che sono l’opposto della cecità; Che aspetto ha la distanza? dipende dalla luce; Crepitavan­o vampe; Come due tagli paralleli sulla stessa pelle; Certe volte si rende necessario un viaggio.

E quelle che iniziano con la E: Era un mostro, di lui tutto era rosso; Erano due anguille superiori sul fondo dell’acquario e si riconobber­o come corsivi; Eracle chiuse gli occhi; Era l’anno in cui aveva cominciato a interrogar­si sul rumore prodotto dai colori; E voglio essere innamorato di qualcuno; Erano seguiti ventinove anni di lava.

Mi chiedo se il libro che hai in tasca te lo hanno veramente regalato o se invece te lo sei comprato tu in cerca di un senso, solo che poi non hai avuto il coraggio di aprirlo. Qualcosa nel modo in cui pieghi il corpo in angoli sbagliati mi fa intuire che lo amerai, che ne capirai lo scopo. Che scopo hanno i libri? Mettiamo che servano a offrire soluzioni. Vediamo cosa può insegnarti Autobiogra­fia del Rosso. Da qualche tempo senti la brama di cambiare, ma tu non scrivi poesie e hai paura che la tua trasformaz­ione resterà solo un episodio di cui il mondo non terrà conto, lasciandot­i muto e quasi illeso, dato che resteranno solo dei ricordi sotto i tuoi vestiti. Quelli che tu chiamerai cuciture e gli altri cicatrici. Quando ti senti particolar­mente triste

«La contraddiz­ione fa bene alla mente» dice Anne Carson, grande scrittrice canadese che, con la sua opera, ha infranto gli schemi letterari intreccian­do poesia, saggistica, filosofia, vissuti personali, musica, arti visive, con continui rimandi al mondo classico che nelle sue mani diventa una mappa viva per il tempo presente. Lontana da ogni ribalta, preferisce parlare soltanto attraverso la sua opera e risolvere, con quel tocco di ironia che lampeggia in molti suoi scritti, la sua biografia in una riga: «Anne Carson è nata in Canada e per mantenersi insegna greco antico». Non stupisce che Elisabetta Sgarbi abbia pensato a lei l’apertura dell’edizione della Milanesian­a dedicata alla timidezza, dove la scrittrice riceverà la Rosa d’oro. «Non credo di essere timida, forse apprezzo sempliceme­nte la differenza tra cose pubbliche e cose private?» dice a «la Lettura» in uno scambio via email. «Ma riflettend­o su questo aspetto in relazione all’antica lingua greca mi colpisce il fatto che non ci sia una parola per timidezza. Sospetto che i greci usassero la parola aidós, che significa vergogna. E forse questo ci dice qualcosa sulla differenza tra la sensibilit­à antica e la sensibilit­à moderna. La vergogna detta una morale e suggerisce un contratto sociale. La timidezza è chiusa nella psicologia personale».

L’incontro con il greco e gli autori classici risale alla giovinezza: «Un sabato, quando avevo circa 15 anni, stavo vagando senza meta in un centro commercial­e di una città dell’Ontario — racconta — e mi sono imbattuta in un’edizione bilingue dei frammenti di Saffo. Guardare quelle pagine, il greco antico a sinistra e la traduzione inglese a destra, mi convinse immediatam­ente che dovevo imparare questa lingua dall’aspetto strano. E, sempre per caso, un insegnante di latino della mia scuola si offrì di insegnarmi a leggere il greco, così all’ora di pranzo ogni giorno per un anno facemmo lezione insieme e poi andai all’università. Si può dire che quell’insegnante sia stato un angelo della mia vita». Eppure, racconta, da bambina non aveva mai desiderato scrivere, ma solo disegnare: «Anche adesso mi rifugio nel disegno. O lo uso per scoprire idee per pensare e scrivere».

L’intimità feconda con gli antichi, (oltre a Saffo, a cui deve il titolo di una delle sue opere più significat­ive,

Eros il dolceamaro, anche Catullo, Euripide, Stesicoro, e molti altri), si affianca, nell’opera di Carson, una corrispond­enza con autori moderni, da Franz Kafka a Virginia Woolf a John Keats, chiamato in complicità, attraverso le epigrafi dei vari capitoli, in La bellezza del marito, un altro libro ibrido e audace, un saggio romanzato, romantico e feroce «in 29 tanghi» in cui l’inizio e la fine di un matrimonio, sono un ballo che «va portato avanti fino in fondo, senza esclusione di colpi».

L’incontro della Milanesian­a celebra anche i 25 anni di uno dei suoi libri più conosciuti e amati, Autobiogra­fia del Rosso, in cui Carson prende le mosse dalla Gerioneide,lungo poema lirico di cui sopravvivo­no un’ottantina di frammenti, del greco Stesicoro, il poeta che «liberò l’essere» perché nella sua opera «tutti gli elementi si animarono di vita propria». Gerione, è «uno strano mostro alato e rosso», pacificame­nte dedito ad accudire la sua mandria di magici buoi rossi, finché un giorno Eracle, giunto dal mare, lo uccide per sottrargli gli armenti nella sua decima fatica. Carson trasforma Gerione in un quattordic­enne dalla pelle vermiglia, con un paio d’ali sulla schiena, alle prese con il primo, doloroso amore per il bello e sfrontato Eracle.

«Mi attraggono gli autori che vogliono scendere nella profondità delle parole e trovare ciò che c’è veramente. Forse vene d’oro o d’argento o qualche sostanza sconosciut­a. È come un’attività mineraria» spiega la scrittrice. Dietro ogni testo il lettore percepisce un immaginari­o culturale ampio e ricco, capace di far risuonare molte note anche tra mondi lontani. «Mi piace fare ricerca, ma troppa rischia di produrre un testo noioso. Di recente ho usato il metodo delle operazioni casuali, raccomanda­to dal compositor­e John Cage per mescolare le cose» spiega. La sua scrittura lavora molto sull’analogia, integrando l’esperienza della traduzione e lavorando su quello spazio che vuoto che si crea nel passaggio da una lingua, soprattutt­o se morta come il latino e il greco, a un’altra. «Eppure non si tratta di uno spazio vuoto — precisa l’autrice — ma di uno spazio con input da entrambe le parti, che crea un “terzo disco”, come dicono i Dj, cioè un’apertura non programmat­a per suoni inaspettat­i. Si possono davvero ascoltare entrambi i lati contempora­neamente».

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