Corriere della Sera - La Lettura
Antonioni a pezzi (sono 47 mila)
Il 1° giugno a Ferrara apre un per raccontare il regista che comunicò al mondo l’incomunicabilità. Una porta d’accesso a un patrimonio di documenti tra foto, premi, spezzoni, dipinti: tesori di un nostro contemporaneo che, come gli scrisse in una lettera
museo permanente
Se c’è un regista che non solo è nostro contemporaneo, ma i cui film sembrano girati domani, è Michelangelo Antonioni, cui Ferrara, la città dove nacque il 29 settembre 1912, dedica dal 1° giugno un museo permanente nei due piani dell’ex Padiglione d’arte contemporanea. Racconterà il maestro che coi suoi film comunicò al mondo l’incomunicabilità. Lo Spazio Antonioni sta interessando non solo la Francia — la prima a riconoscere il maestro a Cannes nel 1960 con L’avventura — ma anche il cinema asiatico, influenzato dai suoi sguardi e silenzi.
A metà anni Novanta, Antonioni con la moglie Enrica Fico donò a Ferrara il suo patrimonio: 47 mila pezzi di vita tra foto, lettere autografe, documenti, premi (l’Oscar onorario del ’95, le Palme, i Leoni d’oro), sceneggiature, cartoline vintage dei divi, manifesti, articoli, libri, dischi e i paesaggi onirici dipinti nelle Montagne incantate. Racconta la curatrice Chiara Vorrasi: «Nel 2012-13 per il centenario organizzammo una mostra. Da allora prosegue la catalogazione e la digitalizzazione e ora, nell’architettura realizzata dallo studio Kirimoto, apriamo un museo permanente che vuole essere un dialogo aperto tra Antonioni e le altre arti evocate dal suo cinema: la ricerca su materia, forma e colore e quindi il confronto con De Pisis, Burri, Morandi fino a Rothko. Ci sarà il racconto cronologico, salette con gli spezzoni dei film e uno spazio per rassegne, eventi, incontri. E i suoi piccoli quadri che abbiamo ingrandito, ispirandoci al suo Blow-Up».
Nello Spazio Antonioni , il cui progetto è di Dominique Païni, già direttore della Cinémathèque française, si trovano curiosità come un acquarello di Antonioni su Greta Garbo e uno su Lucia Bosè, una cartolina di Akira Kurosawa, una missiva di Andrej Tarkovskij; una lettera di Alain Delon in bilico tra L’eclisse e Lawrence d’Arabia; lettere di Umberto Eco, Roland Barthes, Giorgio Morandi con cui discute di pittura e cinema. Federico Fellini, che non andava quasi mai al cinema, visto
Il museo
Il 1° giugno apre a Ferrara lo Spazio Antonioni, museo permanente dedicato a Michelangelo Antonioni, che a Ferrara nacque il 29 settembre 1912 e morì a Roma il 30 luglio 2007. Il progetto a cura di Dominique Païni è sviluppato dal Servizio Musei d’arte del Comune di Ferrara e dalla Fondazione Ferrara Arte, su input di Vittorio Sgarbi e in sinergia con la vedova, Enrica Fico Antonioni. Sarà ospitato dall’ex Padiglione d’arte nel complesso di Palazzo Massari, ridisegnato dallo studio Kirimoto. Sarà aperto dal martedì alla domenica (ore 10-13 e 15-18.30)
Professione: reporter scrive ad Antonioni una lettera commossa parlando del film come «il più compiuto, il più puro, il più essenziale. Sincero fino a farmi provare imbarazzo». Anche Mastroianni e Zeffirelli spediscono via posta la loro emozione per Blow-Up; Sciascia gli scrive sui dialoghi dell’Avventura. Eccetera... Una sfilza di nomi che sono la cultura del Novecento. «Tutti i suoi film — dice Païni — sono ambientati nel mondo contemporaneo. Antonioni non guarda al passato e le preoccupazioni dei suoi personaggi sono ancora attuali. Non teme i silenzi, non è professore né moralista. E neanche le mode hanno diminuito la contemporaneità delle sue opere».
Nello Spazio Antonioni la storia del suo cinema è divisa in stagioni. Si parte dalle origini. E poi il post-neorealismo, quando il maestro si addentra nella giungla borghese in abito da sera, partendo dalla milanese Lucia Bosè (giovane commessa che Visconti gli presentò alla pasticceria Galli, sliding doors e marron glacées), ma poi gira Il grido (1957) tornando nella nebbiosa Pianura padana. Questo flop e quello della Signora senza camelie gli provocarono serie depressioni. La cura? Un anno di teatro. In compagnia con Monica Vitti (conosciuta mentre doppiava Dorian Gray ne Il grido), Virna Lisi, Anna Nogara e Giancarlo Sbragia su testi di John Van Druten (sua la prima versione di Cabaret), Bertolini e Osborne.
Arriviamo al periodo più noto, la «trilogia della modernità» — L’avventura (1960), La notte (1961), L’eclisse (1962) — legata alla sua musa Vitti («prima la donna bruna, poi la bionda», osserva Païni), in cui declina la solitudine («l’opera aperta», osserva Eco). Segue l’avvento del colore nella Ravenna ridipinta da Carlo di Palma ne Il deserto rosso (1964) sullo sfondo irrespirabile del porto «in cui vedeva erodersi l’umanesimo storico», commenta Païni. Poi la conquista del West: la Swinging London di Blow-Up (1966), la controcultura rock hippie di
Zabriskie Point (1970) coi Pink Floyd e i Rolling Stones e le foto di Bruce Davidson, cui segue l’evasione africana di Professione: reporter (1975). «Antonioni — dice Païni — è uomo di grande cultura ma non parte da principi teorici. Osserva i cambiamenti culturali sociali e le conseguenze sui sentimenti e sulle relazioni».
Infine torna a casa con Identificazione di una donna (1982); la neo elettronica del Mistero di Oberwald (1980); Al di là delle nuvole (1995) con Wim Wenders, aiuto regista di lusso; fino al magico Sguardo di Michelangelo (2004) in cui osserva, già colpito dalla malattia che condizionò gli ultimi anni, il Mosè di Michelangelo Buonarroti.
Ecco oggetti di recherche privata. Il suo violino e la racchetta da tennis con cui sfidava Giorgio Bassani con l’elenco dei set vinti; il quadernino di appunti sul Deserto rosso; una lettera di Visconti quando giravano in parallelo Ossessione e Gente del Po. Si finisce con una installazione di Alain Fleischer sulla Bosè che apre il dialogo con l’oggi.
Antonioni è il presente storico del cinema; è sceso nei gradini dei nostri inconsci. È amato da Martin Scorsese («pittore del labirinto delle nostre emozioni») e ha affascinato generazioni di cineasti: un jolly che dialoga con i detective dell’inquietudine. E il Museo sarà un lungo piano sequenza nella sua storia. Un progetto cui ha aderito un comitato scientifico con Gian Luca Farinelli, Thierry Frémaux, Wim Wenders, Alfonso Cuarón, Jonas Carpignano, Walter Salles, Irène Jacob, Sophie Marceau, Giorgio Tinazzi.
«Antonioni è un autore europeo», conclude Païni: «Nel suo stile drammaturgico prende a prestito l’audacia narrativa della letteratura di Bassani, Calvino, Sciascia, Buzzati, ma anche le innovazioni letterarie di Kafka e Beckett, Joyce e Robbe-Grillet. Rispetto ai suoi immensi colleghi, come Fellini e Visconti, rimane nostro contemporaneo e ci accompagna nell’analisi dell’oggi con un’energia giovanile che non sfocia in nostalgia».