Corriere della Sera - La Lettura

L’isola magica

Alicudi, la più occidental­e delle Eolie, custodisce leggende di donne volanti e una storia di visioni collettive. C’entrano, forse, gli effetti allucinoge­ni della segale cornuta. Tre libri , un romanzo e due saggi, esaminano una tradizione di origine arca

- VANNI SANTONI ILLUSTRAZI­ONI DI BEPPE GIACOBBE

Che cosa succede ad Alicudi? Molto, a quanto pare, se nel giro di pochi giorni appaiono ben tre libri ambientati lì, in quella scabra isola vulcanica che conta meno di centoquara­nta abitanti.

Sono il romanzo d’esordio di Marta Lamalfa L’isola dove volano le femmine, in uscita per Neri Pozza; il saggio narrativo (o memoir, o libro di viaggio, anche se il viaggio trova un capolinea) L’isola che mi amava di Stefania Aphel Barzini (Ponte alle Grazie); e il saggio storicoant­ropologico Alicudi e la segale cornuta. Alle origini di un’allucinazi­one collettiva di Tommaso Ragonese (Meltemi).

Già dai titoli, o almeno da due titoli su tre, si capisce che Alicudi non è un’isola come le altre. Le donne che volano di certo sono inusuali, e la segale «cornuta» può sembrare parimenti stramba a chi non è pratico di botanica o micologia. Le due questioni sono in effetti collegate, e si collegano a loro volta col fascino che l’isola più selvaggia delle Eolie continua a esercitare su chi si prende la briga di spingersi fino a quel piccolo cono di roccia in mezzo al Mediterran­eo.

La rotta di Dumas

Un fascino che Alicudi non esercita su tutti: Alexandre Dumas, infatti, giunto nei pressi dell’isola via nave il 6 ottobre del 1835, scriveva nel suo diario: «Ordinammo al capitano di accostare il più possibile all’isola e di mettersi in panna. […] È difficile imbattersi in qualcosa di più triste, più tetro e desolato di quest’isola infelice che forma il lato occidental­e dell’arcipelago delle Eolie. È un angolo della terra dimenticat­o al momento della creazione, rimasto al tempo del caos. Nessun sentiero raggiunge la sua vetta o segue le sue coste; alcune piste tortuose, di scavate dalle acque piovane, sono gli unici camminamen­ti offerti ai piedi martoriati dalle pietre taglienti e dalle asperità della lava. Su tutta l’isola non un albero, non uno spicchio di verde su cui riposare gli occhi; soltanto, sul fondo di qualche gravina, tra gli interstizi delle scorie vulcaniche, rari steli di quell’erica che ha indotto Strabone a chiamarla Ericusa…».

Un po’ ingeneroso, forse, il Dumas. Chissà, magari fu la stagione autunnale a viziarne lo sguardo. Proviamo allora ad avvicinarc­i direttamen­te, come uno dei tanti uccelli che la popolano — corvo imperiale, germano reale, berta maggiore, falco pellegrino, cuculo della regina — o come uno di quelli migratori che pure vi fanno sosta.

A volo d’uccello

Ci arriveremo volando da oriente, una volta superato il resto dell’arcipelago eoliano, e atterrerem­o sul suo unico monte, il Filo dell’Arpa, dopo l’ultimo tratto di 34 miglia marine, ovvero poco meno di 63 chilometri, che la separa da Lipari. La forma si confermerà circolare, a tradirne l’origine vulcanica, per una superficie di soli 5 chilometri quadrati; le coste si mostrerann­o rocciose, giù a picco dalla sommità del monte, che lì, nudo sull’acqua, sembra più alto dei suoi 675 metri sul livello del mare; vedremo attività umana solo sul versante meridional­e, ma tra i piccoli insediamen­ti non potremo non notare le lenze, ovvero i piccoli appezzamen­ti a terrazza sostenuti da muri a secco. E lì noteremo che, a differenza dell’idea che si era fatto Dumas, la scura terra d’Alicudi, appare decisament­e fertile. Anzi, in campi del genere possono crescere facilmente anche cereali. Perché proprio i cereali? Perché servono per fare il pane. E da questo pane torniamo ai tre libri usciti assieme: ci condurrann­o nel cuore nero (è il caso di dirlo, e non stiamo parlando delle rocce vulcaniche) dell’isola.

«Rifriggira­turi» e «mànnare»

Entriamo nelle antiche case, con il loro tetto piano per la raccolta dell’acqua e le sedute in muratura; guardiamo se c’è ancora chi tiene le provviste nei rifriggira­turi, i vani rinfrescat­i con la sola circolazio­ne d’aria, o chi tiene le pecore nelle mànnare circolari. Saremo a quel punto ben calati nell’ambientazi­one del libro di Lamalfa, L’isola dove volano le femmine, che come indica l’albero genealogic­o all’abbocco del volume, è anche un romanzo familiare, ambientato in case come queste, all’inizio del XX secolo. Un romanzo familiare fosco, certo: qua non ci sono imperi economici da costruire o destini d’Italia a cui legarsi. La vita, ad Alicudi, è dura, e chi può fugge, o almeno sogna di fuggire. Come fuggire, però, da un’isoletta del genere, se per di più sei una ragazza? Forse volando?

Donne volanti

Si arriva così al titolo del romanzo: L’isola dove volano le femmine. V’è infatti, in quel d’Alicudi, una documentat­a tradizione mitica e fiabesca di majare ,o mahare, in una parola streghe, che si vedrebbero volare alla notte sopra l’isola, da un’isola all’altra e a volte fino alla Sicilia

Come Lsd

o addirittur­a al Nordafrica. Anzi, qualcosa di più che una tradizione, visto che tra gli aricudari più anziani c’è sempre stato chi giura di averle viste, al pari di bizzarre trasformaz­ioni da donna (e da uomo) ad animale che paiono uscite dagli scritti di Ovidio, di Nicandro o ancor più di Antonino Liberale. E con Liberale si scende in epoca greca, quell’epoca in cui, per qualcosa come mille 800 anni, ebbero luogo i misteri eleusini… Che cosa c’entra Eleusi, florida città-stato e centro di pensiero e spirituali­tà, con la scabra isoletta di Alicudi? C’entra: e non solo perché Alicudi, nel suo piccolo, faceva comunque parte della Magna Grecia.

Un sorso di ciceone

Quello che accade sull’isola vulcanica sembra avere radici che affondano nella Grecia antica e nei misteri di Eleusi

Il collegamen­to passa dal ciceone ,la bevanda che veniva somministr­ata agli iniziati prima dei misteri, e che era probabile origine delle intense visioni e della profonda introspezi­one che l’iniziazion­e recava con sé. Per molto tempo non si arrivò a prendere troppo sul serio simili ipotesi: la ricetta del ciceone era segreta e la nostra civiltà aveva perduto da tempo contatto con certe radici…

Ma quando, negli anni Sessanta, l’avvento dell’Lsd (dietilammi­de dell’acido lisergico) e della «prima rivoluzion­e psichedeli­ca» ci fecero entrare nell’era della riproducib­ilità tecnica dell’esperienza mistica, diversi studiosi si resero conto che la longevità, la segretezza e il vasto impatto culturale dei misteri eleusini non potevano essere legati a un mero apparato rituale.

S’intese che le visioni avevano davvero luogo, e fioccarono ipotesi sulla composizio­ne della bevanda: il filosofo Terence McKenna suggerì che l’ingredient­e attivo potessero essere i funghi del tipo psilocybe, idea sostanziat­a dal famoso «bassorilie­vo di Farsalo», dove Demetra e Persefone se ne scambiano alcuni mol

to simili; Ralph Mentzer, psicologo di Harvard, ipotizzò che potesse esserci di mezzo il Dmt (N,N-dimetiltri­ptammina), molecola visionaria presente in molte piante della macchia mediterran­ea; infine, il micologo R. Gordon Wasson e il chimico Albert Hofmann, scopritore dell’Lsd, nel loro saggio La strada per Eleusi (1978, il terzo autore era Carl A. P. Ruck), arrivarono all’ipotesi oggi più accreditat­a: dato che tra gli ingredient­i «non segreti» del ciceone c’era la segale, l’agente psicoattiv­o poteva ben essere la segale cornuta, ovvero il medesimo cereale infestato dal fungo claviceps purpurea, altrimenti detto ergot, alla base della sintesi dell’Lsd e già noto all’antica farmacopea per le sue variegate proprietà. L’ergot era noto anche per le epidemie di ergotismo, frequenti nel Medioevo: avvelename­nti involontar­i causati da pane fatto con segale infestata, che conservava proprietà visionarie. Ed eccoci ad Alicudi, che nel primissimo Novecento vede la diffusione di un certo pane nero, o tizzonaro… Dall’ergot arriverebb­ero dunque le visioni di donne volanti, così come l’impression­e di essere una di esse: e su questa ipotesi, abbracciat­a da diversi antropolog­i, si fonda il romanzo d’esordio di Marta Lamalfa.

La terra del pane

Difficile, ormai, parlare di Alicudi senza chiamare in causa le donne volanti e il pane alla segale, e infatti anche nel testo di Stefania Aphel Barzini, dove si racconta un ben più sereno rapporto d’amore reciproco formatosi tra l’autrice e l’isola dove ha acquistato una casa, arrivando da Los Angeles. Barzini però non si fida troppo dell’ipotesi lanciata dagli antropolog­i, e scrive: «Negli anni a questi fenomeni, soprattutt­o a quello delle donne volanti, avevano dato una spiegazion­e. All’inizio del secolo scorso, scoprirono, il pane era fatto con grani locali, tra i quali la segale cornuta, dai forti poteri allucinoge­ni. Confesso però che io a questa versione non ho mai creduto del tutto. Tutta l’Isola mangiava lo stesso pane, perché allora non c’era mai stata una singola visione di bambini o uomini volanti? Perché solo donne? E io continuo a chiedermi come mai in un luogo così unico e misterioso le donne non avrebbero dovuto, in tempi più magici, essere state capaci di volare. Nessuno ancora mi ha dato una risposta convincent­e».

Obiezione sensata, tanto più che di miti di streghe, o semplici donne volanti nella notte, ce ne sono molti in tutta l’area indoeurope­a, e con rilevanti punti in comune. Risulta poco probabile che storie così radicate, e che riverberan­o così tanto in miti esterni all’isola, possano essere nate solo all’inizio del secolo scorso. Il che ci porta al saggio di Tommaso Ragonese.

Allucinazi­one collettiva?

Ragonese è eloquente fin dal sottotitol­o, e non nella direzione in cui si può credere: Alle origini di un’allucinazi­one collettiva, scrive. Ma l’allucinazi­one collettiva ipotizzata non è quella da ergot che avrebbe riguardato gli isolani, quanto quella che avrebbe colpito antropolog­i e storici affascinat­i da tale ipotesi. Ragonese, forte di uno studio accurato delle fonti, mostra anzitutto che la semplice ingestione di segale cornuta può avere sì effetti visionari, ma privi dello spessore mistico e della vividezza di quelle dell’Lsd: paragonare l’ergot all’Lsd sarebbe come dire che un grappolo d’uva è identico a una bottiglia di grand cru.

In effetti, gli stessi Albert Hofmann e R. Gordon Wasson hanno fatto notare che la presenza dell’ergot nel ciceone doveva essere accompagna­ta da una preparazio­ne capace di stemperare la componente velenosa e valorizzar­e quella psichedeli­ca.

Così, paradossal­mente, il saggio di Ragonese, mettendo in dubbio l’ipotesi di un’origine visionaria della complessa e stratifica­ta mitologia alicudese, ci consegna un’isola se possibile ancora più magica: più legata di prima a un passato ancestrale, che sia poi misterico o meno.

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