Corriere della Sera - La Lettura
Jean Cocteau
sua incredibile ispirazione. Per assecondare questo spirito, il curatore ha scelto di proporre una sorprendente varietà di lavori, oltre centocinquanta, che spaziano da disegni a opere grafiche, da gioielli ad arazzi; e poi documenti storici, libri, riviste, fotografie, documentari e film diretti da Cocteau. «La sua opera — scriveva un altro straniero altrettanto talentuoso, il poeta W. H. Auden — ci lascia una sensazione perdurante di felicità, non perché escluda la sofferenza, ma perché in essa nulla è rifiutato, rimpianto, o crea rancore. La felicità è un segno di saggezza, più affidabile di quanto si creda, e forse Cocteau ne ha più di altri».
Se per straniero si intende qualcuno (o qualcosa) impossibile da rinchiudere in una definizione, Jean Cocteau è uno straniero perfetto: poeta, romanziere, drammaturgo e critico, «ma anche — spiega ancora il curatore — artista visivo, abile, innovativo, capace di approcci originali».
La mostra ruota appunto su quest’ultimo aspetto creativo: il Cocteau disegnatore, grafico, muralista, designer di moda, di gioielli, tessuti, e regista che in virtù del suo indefinibile eclettismo supera i confini del tempo, trasformandosi in un uomo del Rinascimento. Insomma, ancora una volta in uno straniero dall’incredibile estrema versatilità e capacità di sperimentazione che avrebbe affascinato altri stranieri come Josephine Baker, Coco Chanel, Sergej Djagilev, Edith Piaf, Pablo Picasso, Tristan Tzara.
Il percorso espositivo si snoda intorno a una serie di capitoli che toccano i principali temi al centro dell’opera di Cocteau: l’Orfeo e il tema della poesia, l’eros, il classico nell’arte, il profondissimo legame con Venezia (che visiterà per la prima volta a quindici anni e dove tornerà contila
nuamente) e il rapporto con Peggy Guggenheim, che proprio con una mostra dedicata a Cocteau, suggerita di Marcel Duchamp, avvierà nel 1938 la sua carriera nella galleria londinese Guggenheim Jeune.
Palazzo Venier dei Leoni, sede della collezione, è dunque il luogo ideale per il racconto del legame tra la mecenate americana e il genio francese: tutto inizierà — appunto — quando in quella mostra di Londra del ’38 saranno esposti i disegni per i costumi creati da Cocteau creati per la sua commedia I cavalieri della tavola rotonda (1937) , ma anche due disegni di grandi dimensioni su lenzuola di lino: «Uno era un soggetto allegorico dal titolo La paura dona le ali al coraggio — scrive Peggy Guggenheim nella sua autobiografia Una vita per l’arte (1979) — e includeva un ritratto dell’attore Jean Marais con i peli del pube scoperti». Proprio causa del soggetto, l’opera (esposta nella mostra veneziana) verrà sequestrata dalla dogana britannica, e solo dopo estenuanti trattative la collezionista avrebbe accettato di mostrarla non già all’interno della mostra, ma solo privatamente nel suo ufficio.
L’universo straniero di Cocteau è fatto poi anche di cinema (fondamentale l’impatto che avrebbe avuto su Andy Warhol, Félix Gonzáles-Torres fino a Pedro Almodóvar), di design, di pubblicità. Tra le sorprese: la spada utilizzata il 20 ottobre 1955 quando verrà conferito all’artista il titolo di Accademico di Francia, realizzata per lui, su suo disegno, da Cartier (peraltro main sponsor della mostra veneziana), in oro e argento, con smeraldi, rubini, diamanti, avorio, onice, smalto: l’elsa racchiude il profilo di Orfeo, per decenni il fulcro dell’identità artistica di Cocteau, una lira e una stella, anch’essi simboli ricorrenti nell’opera dell’artista.
Ma nella mostra, al di là della celebrazione necessaria di un riconoscimento che arriverà però a Cocteau solo con il passare degli anni, protagonista assoluto è un artista che metterà al centro del proprio lavoro la legge del (suo) desiderio: «La sua sorprendente versatilità artistica, per la quale in vita è stato spesso criticato per essersi dedicato a troppi interessi — precisa Kenneth E. Silver — ora ci appare un elemento precursore, un modello per la fluidità culturale degli artisti contemporanei come lo rendono attuale la sua omosessualità più o meno dichiarata e la sua lotta pubblica contro la dipendenza dall’oppio». L’omosessualità e la dipendenza dall’oppio che saranno le ragioni prime della sua «posizione precaria» all’interno dell’ambiente dell’avanguardia lo faranno diventare, nello stesso momento, figura di punta dell’establishment francese ma anche un eversivo, capace di incarnare le contraddizioni culturali, sociali e politiche della sua epoca. Ancora una volta, dunque, uno