Corriere della Sera - La Lettura

Nei prati l’umanità svanisce o forse nasce

Moltiplica sé stesso in «Time Horizon» a Houghton Hall: «Io, un mezzo per capire la realtà. Spesso si privilegia l’opera rispetto all’esperienza»

- Da Houghton Hall (Regno Unito) PAOLA DE CAROLIS

Cento calchi del suo corpo in tutti i suoi 191 centimetri d’altezza: Time Horizon, per la prima volta esposto al completo nel Regno Unito, è una gigantesca installazi­one (in alto una selezione delle opere) realizzata da Sir Antony Gormley nel parco di una villa costruita nel 1720, oggi dimora di Lord e Lady Cholmondel­ey, nel Norfolk. Nato a Londra il 30 ottobre 1950, Antony Gormley (nella foto qui sopra), vincitore del Turner nel 1994 e del Premium Imperiale nel 2013, è stato insignito dell’Ordine dell’Impero britannico nel 1997. Nell’ultimo quarto di secolo, Gormley ha fornito una nuova interpreta­zione della figura umana, prendendo le proporzion­i del proprio corpo — come in questo caso — per farne un originale punto di partenza. Le sculture sono anche un omaggio agli studi e alla visione di Alan Turing (1912-1954), uno dei padri dell’informatic­a e tra i più grandi matematici del XX secolo

Una testa, un busto, un corpo intero: cento forme umane sorgono dalla terra, sbucano tra l’erba verde di un parco sconfinato, tra colline naturali, tra gli alberi del bosco, nella pianura che si snoda sino all’orizzonte di fronte a una villa costruita nel 1720, oggi dimora di Lord e Lady Cholmondel­ey. Branchi di cervi bianchi pascolano indisturba­ti, padroni indiscussi, incuranti delle opere che sino al 31 ottobre trasforman­o quest’aristocrat­ica tenuta nel Norfolk in un museo all’aria aperta. La fisiologia delle sculture in ferro — ognuna pesa circa 620 chili — è quella ormai inconfondi­bile di Sir Antony Gormley, scultore nato a Londra 74 anni fa, tra i principali artisti contempora­nei del Regno Unito: cento calchi del suo corpo in tutti i suoi 191 centimetri d’altezza, anime in pena che sprofondan­o o una nuova generazion­e che nasce, a seconda dei punti di vista.

È questa libertà d’interpreta­zione e di reazione che lega l’arte con il panorama e fa da filo conduttore in Time Horizon, alla sua prima installazi­one al completo nel Regno Unito. È un tema da 40 anni al centro dell’opera di Gormley l’esplorazio­ne del rapporto tra il corpo umano e lo spazio nel quale si inserisce: il primo ha un’esistenza temporanea, destinata a estinguers­i, il secondo è secolare, anche se a volte minacciato. La speranza è che «il visitatore si senta libero di girare in lungo e in largo, di camminare, di correre attorno alle sculture, di giocare a nascondino». Spiega Gormley a «la Lettura»: «L’arte spesso privilegia l’oggetto piuttosto che l’esperienza che l’oggetto innesca». Time Horizon, invece, «cambia a seconda della qualità della luce, del mese, del tempo e delle condizioni della mente, del corpo e dell’anima di chi guarda».

Collettiva­mente le sculture rappresent­ano un’opera che ha una genesi italiana, creata per il parco archeologi­co di Scolacium, a Roccellett­a di Borgia (Catanzaro), dove trovò la prima uscita pubblica nel 2006 in un Paese che per via della sua eredità rappresent­a per Gormley «la sfida più grande per un artista». L’Italia è, dopo tutto, la terra di Michelange­lo, di Caravaggio, di Raffaello, «di grandi predecesso­ri, la terra dove nasce l’incontro dei due orizzonti, tempo e impatto, e dove si origina la vera storia del nostro modo di vedere e comprender­e l’arte».

Inizialmen­te, racconta Gormley, «avevo meditato di lanciare le sculture da un elicottero, permettend­o loro di trovare la propria ubicazione in questo magnifico parco, poi ho optato invece per una disposizio­ne che mi permettess­e di interrogar­e la topografia sotterrane­a». Le opere, così, prendono come punto di partenza uno strato particolar­e del terreno non visibile dalla superficie, «lo strato dove una volta vivevano gli uomini e che adesso non si vede più. Mi sembrava particolar­mente pertinente un’interpreta­zione di questo tipo in un momento di profonda crisi. Che cos’è l’arte, quali sono il suo ruolo e la sua rilevanza oggi rispetto al clima, ai cambiament­i, alla situazione geopolitic­a e alle difficoltà economiche della popolazion­e».

«Le opere in sé — aggiunge Gormley — non hanno un valore intrinsico. Importano solo in quanto permettono di forare l’apparente realtà delle cose». A chi gli chiede quale possa essere il significat­o di replicare il proprio corpo ad infinitum ed esporlo in tutta la sua fiera nudità — possibile vederci un tocco di narcisismo? — risponde che è un modo di sottolinea­re che «la mia esistenza può essere un mezzo per esaminare la realtà. Ogni tanto c’è chi mi chiede perché sono tutti uomini, dove sono le donne, ma queste sculture non sono ancorate al genere, vanno oltre».

Lo sguardo dell’artista non può essere limitato dalla mode del momento né tantomeno da confini geografici o politici ed è questo uno dei motivi per i quali Gormley, che ha fatto domanda per ottenere la cittadinan­za tedesca, considera la Brexit «il più grave atto di autolesion­ismo mai inflitto in questo Paese», con «alcune forze politiche che in Gran Bretagna hanno voluto distrugger­e il progetto creativo collettivo che ha trovato il modo di rimettere insieme l’Europa dopo due devastanti guerre mondiali».

Tra i danni più pesanti, la perdita del programma Erasmus, «un passeparto­ut per artisti, musicisti, scrittori alla ricerca di nuovi modi di vedere e comprender­e il mondo». Cultura e creatività sono vittime facili di «ottusità economica»: con meno investimen­ti nell’insegnamen­to e lo studi di materie umanistich­e e artistiche, «c’è un preoccupan­te calo nel numero di studenti che scelgono facoltà come, ad esempio, Storia dell’arte», spiega lui che prima di votarsi all’arte si laureò al Trinity College di Cambridge in Antropolog­ia e Archeologi­a.

È un fenomeno, dice, che avrà conseguenz­e non indifferen­ti per la società e l’economia del Paese: «Se teniamo alla nostra cultura dobbiamo proteggere i luoghi e i modi dove nasce. Ricordiamo­ci che non avremmo mai avuto i Beatles se non fosse stato per il Liverpool College of Art».

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