LA MOVIDA NON HA CAPOLINEA
Negli anni Sessanta il centro di tutto era la «swinging Brera», nel quartiere alle spalle della Scala: euforia da boom economico, musica, pittori e primi cocktail. Nel decennio seguente, la vita notturna, ludica o creativa, si è spostata al Ticinese, ha allungato il passo sui Navigli. Un locale per tutti, il Capolinea, dove hanno suonato grandi nomi del jazz, persino Dizzy Gillespie. Accanto alla Milano delle fabbriche, operosa, e alla Milano degli anni di piombo, cresce la Milano città del mondo, baricentro della cultura e del divertimento. I tempi continuano a cambiare, irrompe la «Milano da bere», arriva la «movida», che stira la notte fino agli anni Novanta. Poi i battiti si spostano in altre zone: corso Como, Porta Romana, Porta Venezia, l’Arco della Pace, l’Isola. Ora, di colpo, fa ingresso l’esposizione universale, un vento improvviso che scuote la città e impone un dibattito, costringe a prendere posizione, a cercare di capire se l’Expo sia un volano moltiplicatore di energia e ricchezza diffuse oppure un insidioso antagonista alla vita sociale ed economica della città.
La tentazione del manicheismo è forte, spinge a decidere se essere pro o contro. In tutto ciò, ragionevolmente, è difficile pensare che qualche ora di apertura prolungata del sito dell’Expo durante il fine settimana possa spostare più di tanto il movimento della città, che ciò possa costituire un fattore di concorrenza in grado di penalizzare i locali cittadini. Piuttosto, forse, sarebbe auspicabile che alcuni eventi coinvolgessero di più il tessuto metropolitano, che grandi spettacoli (e investimenti di risorse pubbliche) come quello del Cirque du Soleil fossero una sorpresa per tutti e non solo per i visitatori di Expo. A parte ciò, l’esposizione universale può essere un’occasione di crescita e di progresso generale se interpretata in modo attivo, non come un albero dal quale trarre profitto aspettando che i frutti cadano dai rami.
Milano è da sempre all’avanguardia proprio perché non attende ma inventa, questo è l’aspetto positivo della sua impazienza. Si può allora considerare l’Expo come un pungolo che solleciti la ricerca e la creatività: nuovi spazi si affacciano nel panorama, alcuni luoghi si stanno già muovendo, come piazza Gae Aulenti o la risorta Darsena. I giovani sono pronti al futuro, non hanno timore di esplorare prospettive inedite. L’importante è non imprigionarsi in lamenti sterili o adagiarsi in acritici ottimismi, e le idee nascono. Se così non fosse, Milano sarebbe ancora là, ancorata alla «swinging Brera» e al jazz di mezzo secolo fa.