Rimossi i manifesti del sexy bar Il Comune: offendeva le donne
De Cesaris: non è censura, ma basta con la banalizzazione del corpo femminile
Una decina di gonfaloni pubblicitari sparsi in vari angoli della città e nei dintorni di via Gallarate, appesi ai pali della luce. Si vede una ragazza di schiena, dito ammiccante in bocca, che mette in mostra il lato «B» con un perizoma ridotto ai minimi termini. Sicuramente non si tratta di pubblicità ingannevole, perché promuove un sexy bar, lap dance, dal nome «Pepenero Milano Expò». Sicuramente però è una pubblicità volgare che ricade sotto la scure della delibera approvata dalla giunta il 28 giugno del 2013 che contrasta la diffusione di messaggi pubblicitari discriminatori e lesivi della dignità, soprattutto delle donne. Così, Palazzo Marino, dopo una segnalazione dell’Istituto di autodisciplina pubblicitaria, ha chiesto ai concessionari di ritirare il manifesto. La risposta è stata immediata: via il lato «B» dai gonfaloni.
Non è il primo caso. Sotto la scure della delibera era finita anche un’altra pubblicità apparsa sui mezzanini del metrò che promuoveva un succo di frutta affiancato dal solito lato «B» di una ragazza in mutandine. Difficile capire il nesso tra la bevanda e il sedere della ragazza. Anche in quel caso la collaborazione tra Palazzo Marino e Iap aveva portato alla cancellazione delle pubblicità. Diverso il caso dei manifesti giganti di Belen in corso Buenos Aires per una ditta di intimo. Sono stati rimossi, questa la motivazione, perché creavano un problema di sicurezza stradale. Gli automobilisti si «distraevano» rischiando di provocare incidenti. Se però si va indietro nel tempo, a inizio 2011, quindi ben prima della delibera del 2013, la situazione era molto differente. Quando davanti alla scuola elementare di viale Puglia apparve un cartellone con una modella priva di slip, le mamme della scuola insieme alla dirigente scolastica si rivolsero alla polizia municipale e al Comune per chiedere la rimozione. Palazzo Marino si dichiarò incompetente. Genitori e dirigenti scolastici si rimboccarono le maniche e nel giro di dieci giorni il cartellone sparì dalla vista dei bambini.
«Non è una censura — attacca il vicesindaco Ada Lucia De Cesaris che assieme al delegato del sindaco per le Pari Opportunità, Francesca Zajczyk ha fortissimamente voluto la delibera sulla pubblicità discriminatoria —, ma la volontà di eliminare ciò che è inutilmente offensivo. Il problema non è il corpo della donna o dell’uomo ma la modalità con cui viene utilizzato che può essere offensiva e volgare per chi riceve il messaggio. La mia sensazione è che dopo la delibera che ha fatto da apripista in Italia e la nuova collaborazione tra Comune, Iap e operatori, il modo di fare pubblicità a Milano sia cambiata». «Pubblicità di questo genere — dice la Zajczyk — ledono e banalizzano l’immagine del corpo della donna, che viene ridotta ad un semplice oggetto e che, per questo motivo, possono anche contribuire a scatenare atteggiamenti violenti ed aggressivi verso il genere femminile».
Ma c ome funz iona le de l ibe r a in questione? Intanto riguarda gli spazi pubblicitari in carico al Comune e alle società partecipate e ritiene incompa t ibi l i immagini di violenza, volgari, indecenti, i messaggi discriminatori verso la donna, la mercificazione del corpo. E sugli spazi privati? Qui la collaborazione con lo Iap è fondamentale perché l’Istituto, oltre a raccogliere le segnalazioni, conta circa l’80 per cento delle concessionarie pubblicitarie tra i soci. Quanto basta per operare una moral suasion di un certo rilievo.