Solidarietà e memoria, il monito del prefetto
La cerimonia del 2 Giugno e le onorificenze al merito. Porte aperte a Palazzo Marino: oltre 15 mila ingressi
«La prolungata recessione ha messo in crisi le fondamenta del sistema democratico fondato sull’uguaglianza. Cinismo e furbizia sono i mali che affliggono il nostro tempo: il disagio sociale va assolutamente intercettato, accompagnato, riconvertito». Erano in centinaia ieri ad ascoltare il prefetto Francesco Paolo Tronca che consegnava le onorificenze «Al Merito della Repubblica italiana» in un Palazzo Diotti aperto tutto il giorno per le celebrazioni del 2 Giugno. Addirittura oltre quindicimila, nelle stesse ore, si accalcavano davanti a Palazzo Marino che spalancava le porte, col sindaco Giuliano Pisapia a fare da padrone di casa.
«Occorre agire con sentimenti di tolleranza, sussidio, solidarietà concreta e non ipocrita verso i più deboli — ha spronato il prefetto — senza cedere all’intransigenza e alle paure». È, anche, questione di sicurezza perché «la criminalità organizzata sempre più spesso avvicina le condizioni di bisogno per reclutare nuove leve e moltiplicare la sua forza». Milano, è convinto Tronca, nella lotta alle mafie si è fatta le ossa anche con Expo. Ed ora è «protagonista di una rivoluzione copernicana che contagerà il Paese». Ha ben imparato a giocare d’anticipo, «facendo leva sulla prevenzione affinché i germi della delinquenza non possano attecchire».
Nel centesimo anniversario dell’ingresso italiano nella Grande Guerra, e nel settantesimo della Liberazione dall’occupazione fascista, il prefetto ha consegnato otto medaglie d’onore a cittadini italiani deportati e internati nei lager nazisti. Uno solo ha potuto però ritirarla di persona, l’unico sopravvissuto, un arzillo Ottorino Zansarzi, 91 anni, che ancora si commuove, a tornare indietro con la memoria. «Mi è stata concessa l’onorificenza a coronamento dei sacrifici e delle umiliazioni subite nel campo di concentramento tra i fiumi Oder e Mulde, vicino a Berlino», spiega, scuotendo la sua bella testa canuta. C’è dovuto stare per un lunghissimo anno e mezzo, dal giugno del ’44 al settembre del ’45: «Lavoravamo in una miniera di lignite a cielo aperto, dall’alba alla sera, con venti gradi sotto lo zero. Non ci potevamo mai fermare, ma alcuni crollavano. Di notte ancora mi sogno quei momenti, e ho paura». Quando è finita la guerra, gli eserciti russi e americani provvedevano al rientro dei connazionali: lui no, con un drappello di altri dieci italiani è rimasto solo in terra straniera. «Abbiamo percorso mille chilometri a piedi per ritornare a casa», dice. E il figlio lo abbraccia.
Dopo di lui, ad essere premiati come Cavalieri, sono stati 68 cittadini che hanno reso lustro al Paese con il loro impegno. Nello Graziano Paolucci, 80 anni, che ha fondato con altri pensionati l’associazione Arass Brera e aggiustato oltre diecimila strumenti per i laboratori tecnici delle scuole milanesi. Giuseppe Banderali, 54 anni, che da 30, notte e giorno, si occupa di bambini all’ospedale San Paolo dove è direttore della Neonatologia. Gabriele Fusi, 49 anni, che per lavoro si occupa di sicurezza antincendio e ha formato (gratuitamente) decine di gruppi della Protezione civile. Ancora, con onorificenza di Ufficiale, il Generale dei Carabinieri, Maurizio Stefanizzi, noto per il suo impegno in casi delicati come il triplice omicidio di Motta Visconti. E Luigia Fusar Poli, 72 anni, che ha aiutato a ritrovare i resti di migliaia di dispersi in Russia. «Viva la Repubblica, viva l’Italia», ha concluso il prefetto lasciando il palco alle note della canzone del Piave. E a sentire quella musica, molti si sono commossi.
L’analisi Tronca: «La prolungata recessione ha messo in crisi le fondamenta del sistema democratico»