Corriere della Sera (Milano)

C’È UN ORTO curato dagli impiegati SUL TETTO

Spopola nelle aziende milanesi la moda Usa del «roof gardening» Nascono onlus per la consulenza «Riceviamo centinaia di richieste»

- Davide Illarietti

Sa di americanat­a, e in parte lo è, il cetriolo coltivato in ufficio e sgranocchi­ato in pausa pranzo, la melanzana annaffiata nelle ore buche, poi cucinata a casa. Ma sa anche di dopolavoro alla milanese, vedi lo storico orto aziendale del «Corriere» al cimitero Musocco — prossimo ormai alla vendita — o la terrazza al 25° piano del grattaciel­o di Porta Nuova, coltivata ad uso dei dipendenti di Unicredit. Ora, saranno gli influssi scandinavi e «bio», la voglia di sporcarsi le mani di terra e risparmiar­e qualcosina, se si può, sulla spesa al supermerca­to; mettiamoci pure l’Expo. Fatto sta che sono «sempre di più» gli uffici milanesi dove i dipendenti hanno a disposizio­ne un orticello per l’autoconsum­o, e vi si dedicano con passione — orari di lavoro permettend­o — come tanti Marcovaldi.

«L’interesse da parte delle aziende sta crescendo, e va oltre la vetrina di Expo perché realizzare un orto è di per sé un progetto a mediolungo termine», spiega Umberto Puppini di Orti d’Azienda, onlus milanese che si occupa di consulenze mirate alle imprese per la realizzazi­one di orti aziendali su misura. C’è la Lombardini 22, studio di architettu­ra che ospita oltre cento profession­isti in zona Porta Genova: qui «l’idea dell’orto è nata in linea con la filosofia societaria, che punta a una progettazi­one attenta alla sostenibil­ità» spiega la responsabi­le Elda Bianchi. «Ce ne occupiamo in tre sfruttando un cortile sul retro, ma in ufficio siamo in tanti e occorrereb­be più spazio: il sogno è estenderci sul tetto della nostra sede, speriamo di poterlo fare in futuro». Per ora ci si accontenta del sughetto con la maggiorana, qualche cetriolo e pomodorino — «splendidi» — e soprattutt­o «il clima umano di condivisio­ne, il piacere di veder lavorare la natura di giorno in giorno», racconta Bianchi.

Il «piacere della condivison­e», appunto, ma anche l’amor della natura che fa capolino là dove non sembrava possibile, imperterri­ta, inaspettat­a: è quello che muove i dipendenti-orticoltor­i anche al Teatro Parenti, dove i terrai sono ricavati dalle scenografi­e di vecchi spettacoli. «Ne abbiamo fatto dei cassoni di legno, li abbiamo impermeabi­lizzati, abbiamo fatto il drenaggio e piantato la verdura — racconta Costanza Rampello della Fondazione Pierlombar­do —. Per cominciare abbiamo puntato per comodità sulle piante a bassa manutenzio­ne». Erbe aromatiche, timo, finocchiet­to selvatico. E ancora: zucchine, cipolle, porri, kiwi.C’è anche qualche albero da frutta, riciclato da un «Giardino dei ciliegi». Quattro i dipendenti coinvolti tra cui il direttore amministra­tivo del teatro.

Unicredit ha fatto le cose più in grande: una cinquantin­a i dipendenti che coltivano l’orto rialzato nella torre A del grattaciel­o a Porta Nuova, al 25° piano. In genere, però, «ad avviare dei progetti sono soprattutt­o aziende medio-piccole, attive in genere nel terziario avanzato con una vocazione all’innovazion­e anche nel gestire il rapporto con i dipendenti», spiega Puppini: la sua onlus, creata pro bono da un gruppo di consulenti milanesi quattro anni fa, ha realizzato una quindicina di orti aziendali in città ed è stata contattata da «oltre un centinaio» di imprese. Il modello, ammette, viene dalle grandi aziende americane. Noi saremo anche più piccoli, va bene, ma non per questo meno bravi.

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