La sirena Carolyn nuota tra le onde di «Immersion»
La Carlson anche protagonista in un episodio di «Short Stories»
«Siamo acqua per il 75% del nostro corpo quando nasciamo. Non è solo un elemento della natura, l’acqua è una forza straordinaria, purificatrice, evocata in ogni religione, a partire dal Cristianesimo con il battesimo. È il flusso della vita, rappresenta per me il simbolo più autentico del moto perpetuo». L’acqua continua a lambire il corpo da sirena nordica di Carolyn Carlson. A partire dalle «Undici Onde», la coreografia che nel 1981 la legò alle calli veneziane con un respiro profondo i cui effetti sulla danza italiana si sono irradiati attraverso generazioni di allievi, spettatori, interpreti, autori. Come l’acqua, anche la bionda Carolyn è in moto perpetuo, nell’onda lunga dei suoi 72 anni, sempre diversa e sempre uguale a se stessa. Da domani sera allo Strehler, Carlson tornerà in scena a Milano, da cui manca da sei anni in un trittico di coreografie da lei firmato dal titolo «Short Stories», tratto da un repertorio di nove «corti».
Il primo lavoro in programma è un «solo» del 2010 su musica originale di Nicolas Zorzi, intitolato «Immersion», che sarà da lei stessa interpretato. «L’idea è quella di dare corpo ad alcune visioni: le onde dell’oceano, lo stillicidio ritmato di gocce che cadono, il fragore di un temporale, una pioggia rigenerante, lo specchio ipnotico dell’acqua ferma. Non ho mai smesso di danzare, è il mio elemento», sostiene l a co r e o g r a f a americana. Il secondo pezzo è il duetto «Li», creato nel 2007, affidato a Chinastu Kosakatani e Yutaka Nakata: «È il risultato di un viaggio di esperienze emerso dal confronto con i miei danzatori», «Siamo tutti parte dell’universo e connessi tra noi». Dall’ideogramma giapponese che evoca l’origine di tutte le cose nasce questa danza in cui confluiscono le stagioni della natura, la luce, il vento. Tao, ying e yang. «Il mio lavoro è combinare le energie opposte: saltiamo perché possediamo una gravità, un peso che ci attrae verso il suolo. La nostra vita è Terra e Cielo».
L’ultimo titolo, «Mandala» (2010), ruota intorno a un altro tema portante della poetica gestuale della Carlson, il buddhismo Zen: «È un grande assolo per l’italiana Sara Orselli, mia danzatrice da 14 anni e allieva ai tempi dell’Accademia Isola Danza a Venezia. Come scrisse Pierpaolo Pasolini: “Siamo tutti in pericolo”. Ci sono forze interiori che ci spingono, segretamente, dall’interno. E altre energie che, altrettanto misteriosamente, si manifestano all’esterno di noi, come gli “agroglifi”, i disegni circolari che appaiono nei campi di grano. La sfida è centrare noi stessi nell’universo». Nella calligrafia giapponese, l’«ens» è il simbolo circolare dell’illuminazione: per «Mandala», il light designer americano Freddy Boneau ha disegnato un cono luminoso e pulsante all’interno del quale si inscrive la danza, elettrizzata dal ritmo vorticoso della musica scritta dal compositore Michael Gordon. «Dovete venire a vederci», ingiunge Carlson. «Non si può descrivere la musica, come non si può spiegare la danza. è poesia pura».