Solidarietà e proteste Piazza divisa a metà
seduti sul muretto, o accasciati a terra. Qualcuno però parla, quasi a chiedere scusa. «Il mio bambino è molto piccolo, mi fermo qualche giorno, non so quanta strada ho ancora da fare.. » , prova a spiegarsi una donna eritrea circondata da cartoni di latte. «Devo andare in Germania dai miei zii, non voglio spostarmi nei centri di accoglienza. Appena mi danno un biglietto io riparto», dice poco più in là Auad Mudar, 23 anni, in fuga dalla Libia in guerra.
C’è chi, tra i negozianti e i residenti, supera irritazione e timori. E va lì, al centro della piazza. Da vicino non esiste altro disagio se non il loro, quello dei migranti. Alberto Biondi, 48 anni, abita in via Vittor Pisani. Aveva cucinato con le sue mani una torta, l’aveva tagliata a fette, aveva portato i piattini di carta. Spazzata in meno di due minuti. E allora Alberto Biondi è tornato a casa. Dopo un’ora si è ripresentato. Con un’altra torta, sempre fatta da lui. Pare semplice, ma non lo è affatto. Il fastidio, per chi sta in zona, è enorme. A tratti insopportabile.
Salvatore Creti, 82 anni, pensionato, vive in via Settembrini e col passo incerto della sua età ha portato vestiti recuperati da amici e nipoti. «Questa gente fugge dalle atrocità, dalla fame. Potendo li ospiterei tutti», si commuove. Ma si commuove davvero, con due lacrime che gli rigano il volto rugoso.
Incredibile Milano. Gli stranieri sono in prima fila con i volontari. Spinti dal ricordo della sofferenza personale: «Quando sono arrivata in Italia ho vissuto momenti drammatici. Oggi aiuto, è il minimo», ancora piange nel ricordare una signora delle Mauritius, Marie Claude Armie. Poco più in là, sul perimetro della piazza, restano però la rabbia e lo sconcerto. «I profughi arrivano ad ondate, fanno quello che vogliono», si stizzisce Dimitri Raffinetti, residente. «Io apro alle 5.30 del mattino, col buio, e ho paura. Basta col finto buonismo», si sfoga Antonio Magasi, edicolante. «I clienti dicono che è vergognoso. E se spiego che è un’emergenza, chiedono: “Ma quanto durerà ancora?”», lamenta Alberto Scuderi, receptionist dell’hotel Aosta.
Il danno, a sentir loro, è anche sul fatturato. «I turisti invece di sedersi ai tavolini corrono via, in altre zone — testimonia Gabrielle Baldy, responsabile del bar Panzera —. Già siamo delusi per Expo, ora questo. Il morale è sotto i tacchi...».