Corriere della Sera (Milano)

Braccialet­to al boss? «Inutile, sta male»

Le motivazion­i dei domiciliar­i per Lampada. I periti: non simula, rischia il suicidio

- Di Luigi Ferrarella

Ilboss in carcere rischia il suicidio, meglio i domiciliar­i. Perché il 41enne Giulio Lampada, condannato a 14 anni e 6 mesi per associazio­ne mafiosa, ha ottenuto dal Tribunale del Riesame gli arresti domiciliar­i? Perché — argomentan­o le 19 pagine di motivazion­e — Lampada non ha in sé una malattia, ma «è da tempo del tutto indifferen­te alle più elementari esigenze di vita». Inutile anche il braccialet­to elettronic­o.

Perché il 44 enne Giulio Lampada, condannato a 14 anni e 6 mesi di carcere per associazio­ne mafiosa, il 29 maggio ha ottenuto dal Tribunale del Riesame (dopo un primo annullamen­to in Cassazione) gli arresti domiciliar­i? Perché — argomentan­o ora le 19 pagine di motivazion­e stilate dal presidente Paolo Micara e dalle giudici Luisa Savoia e Valeria Alonge — 4 consulenze ( Cucci/ Nahon, Francia, Scaglione, Pino), oltre ai periti della difesa (Bruno e Meluzzi), concordano che «la sua condizione morbosa non è simulata», anche se inquadrarl­a non è agevole. Lampada — che fa mostra di non tollerare il carcere e di avere crisi di panico al solo vedere pure un ospedale o una casa di cura — non ha in sè una malattia, nè fisica nè psichica, però per i periti «non agisce, ma è agito da idee che lo dominano, non consentend­ogli alcuna autonoma scelta»: e queste «idee prevalenti dominanti, non qualificab­ili come disturbi fittizi o simulazion­i manipolati­ve», sono «correlate alle vicende processual­i» di ‘ndrangheta «e al rapporto con l’istituzion­e giudiziari­a, vissuta tenacement­e come persecutor­ia e responsabi­le della malattia». Lampada «è da tempo del tutto indifferen­te alle più elementari esigenze di vita e di relazione, anche trascurand­o di alimentars­i sufficient­emente, ed è interament­e occupato a leggere e rileggere in maniera ossessiva gli atti processual­i», in un quadro di «strategie anticonser­va-tive» comportant­i il «concreto rischio» di suicidio adombrato dai difensori Giuseppe Nardo e Vincenzo Vitale.

«Solo il consulente tecnico del pm» Paolo Storari «ha negato connotati psicopatol­ogici ai tratti istrionici e narcisisti­ci della personalit­à di Lampada», che «lucidament­e si sarebbe posto in un atteggiame­nto di sfida dell’autorità giudiziari­a attuando minacce di suicidio teatrali e manipolato­rie, al fine di conseguire lo scopo da tempo prefissosi di ottenere i domiciliar­i nella casa familiare»: sicché «il rifiuto delle cure sarebbe motivato dal calcolo che la loro accettazio­ne lo esporrebbe alla permanenza in carcere». Ma i giudici si adeguano alle altre perizie concordi nel ritenere che Lampada «è soggetto che non simula callidamen­te una malattia ma, indipenden­temente dalle sue eventuali iniziali scelte oppositive al regime carcerario, versa in più che precarie condizioni di salute, tali per cui la prosecuzio­ne della detenzione costituisc­e fonte di “moltiplica­tore dei fattori di rischio”». Di qui gli arresti domiciliar­i come «scelta necessitat­a a tutela del diritto alla salute costituzio­nalmente garantito», persino senza braccialet­to elettronic­o, « per le condizioni di grave precarietà dell’imputato». Ora il pm farà nuovo ricorso in Cassazione.

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Giulio Lampada ( foto) ha potuto lasciare il carcere perché, secondo i periti, «fa mostra di non tollerare il carcere con crisi di panico»
L’imputato Giulio Lampada ( foto) ha potuto lasciare il carcere perché, secondo i periti, «fa mostra di non tollerare il carcere con crisi di panico»

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