IL VOTO LIQUIDO TRAVOLGE I FORTINI
Dove vinceva la sinistra ha vinto la destra e viceversa. Dalle urne di domenica è uscita una certezza: il voto è più che mai liquido, le roccaforti non esistono più. Se a Segrate — la città di Milano 2, il primo quartiere giardino costruito dall’allora giovane immobiliarista Silvio Berlusconi — vince dopo decenni la sinistra, e se il centrodestra si prende con una certa disinvoltura la rossa Corsico, il segnale è inequivocabile: i vecchi schemi sono saltati e a vincere, più che il voto d’appartenenza, è la volontà di cambiare segno (e colore all’amministrazione uscente). Identiche considerazioni valgono per gli altri due Comuni chiamati al voto: Cologno Monzese e Bollate. Un doppio ribaltone incrociato. Il dato uscito dai quattro Comuni, il giorno dopo, viene letto da tutti i protagonisti in chiave milanese. La destra esulta perché può legittimamente affermare d’essere in partita; il centrosinistra s’affida al pallottoliere per segnalare comunque l’avanzata complessiva delle ultime stagioni e per convincersi di essere ancora maggioranza nel capoluogo.
La sfida è appena iniziata e non se ne conoscono i contorni. A destra l’idea forte, avallata ora anche da Forza Italia, sembra quella di convincere Matteo Salvini a rompere gli indugi e a correre per la sua città. Sarebbe peraltro un modo per togliere dalle scene nazionali il più insidioso competitor della leadership berlusconiana. L’operazione, sulla carta ottima, presenta anche delle insidie. Milano è una città moderata, si dice sempre. Metropoli europea, di una borghesia che difficilmente potrebbe rimanere incantata dalle sirene del populismo anti-sistema del leader del Carroccio. Ma queste categorie, appunto, valgono ancora? Salvini — e siamo al secondo quesito — sarebbe in grado di ricompattare il centrodestra, condizione indispensabile perché il fronte alternativo a Renzi sia competitivo? Ncd sarà anche un partito elettoralmente marginale, ma a Lecco, dove al ballottaggio ha scelto il renziano Brivio, è stato comunque determinante.
Sull’altro fronte le incognite non sono meno ingombranti. Ogni discorso dalle parti del Pd e dei suoi satelliti si concentra per ora sul metodo: le primarie, le mitiche primarie. Che a Genova e a Venezia hanno però consegnato agli elettori, quelli «veri», candidati evidentemente con poco appeal. Matteo Renzi, deluso da questa tornata elettorale, potrebbe allora decidere di calare l’asso e di imporre un suo candidato. Magari Giuseppe Sala che, dopo la sfida internazionale di Expo, difficilmente potrebbe però accettare il rito dell’investitura da gazebo.