Corriere della Sera (Milano)

Palestina-Israele vicini di casa Ma divisi dal prezzo del sale

E i bambini di Gaza chiedono stupiti: «Dove sono i check-point?»

- Di Giuseppe Guastella gguastella@corriere.it

Ai metal detector dell’ingresso di Expo si sentivano a casa, ma quando si sono accorti che lungo tutti i 1.700 metri del decumano si poteva giocare, correre, ballare e addirittur­a entrare in uno qualunque dei 55 padiglioni senza che nessuno ti perquisiss­e, era come se mancasse loro qualcosa di tristement­e familiare. «Dove sono i check point?», hanno cominciato a chiedere quasi smarriti alcuni dei cinquanta bambini palestines­i in visita all’esposizion­e universale, secondo il racconto di uno dei responsabi­li del padiglione della stessa Palestina.

Madonne stilizzate di tutte le forme, rosari grandi e piccoli, tante croci di ogni dimensione, la stalla del presepio cattolico in diverse grandezze con i personaggi della Natività schierati, il tutto in legno d’ulivo intagliato a mano dalle donne di Betlemme, e poi saponi all’olio d’oliva, anche questi fatti a mano, sali, misture per levigare la pelle e fanghi del Mar Morto. Oggetti ammassati ordinatame­nte nei pochi metri quadrati del padiglione della Palestina. Sta tra la Giordania e la Somalia nel cluster delle «Zone aride» che, nonostante sia in terza ai margini di Expo, ha una media di mille visitatori al giorno, il doppio al sabato e alla domenica. È chiaro che il piccolo stato mediorient­ale non ha le possibilit­à per permetters­i di meglio.

«La Palestina non appartiene alle zone aride, non c’è un palmo di deserto nel nostro territorio. Noi facciamo parte dell’area del Mediterran­eo», puntualizz­a il vice direttore del padiglione Emad Qaisi. E allora che ci fate qui? Pensa che ci sia stata una qualche ragione politica per confinarvi? «Non voglio dirlo, forse c’è stato solo un problema di inefficien­za organizzat­iva». Prova a smussare Osama Abu Ali, vice commissari­o generale: «È anche vero che due anni fa, quando si cominciò a parlare della realizzazi­one del padiglione, a Gaza c’era la guerra e non abbiamo potuto fare un progetto migliore».

Il turismo in Terra Santa è una delle fonti principali di reddito della Palestina che, stato islamico, ospita alcuni luoghi sacri del cristianes­imo. «Abbiamo diverse religioni e non ci sono differenze», aggiunge Abu Ali. Inevitabil­mente il discorso cade su Israele e come sempre in questi casi riaffioran­o rabbia e rancori alimentati da anni di accuse e attacchi reciproci. «Israele ha investito milioni di dollari nel suo padiglione per promuovere se stesso e tentare di cancellare l’immagine negativa dovuta all’occupazion­e militare del nos t ro paese » , sos t iene Ibrahim Najjar, direttore dell’area area commercial­e, anche se il territorio dello Stato è sotto il controllo dell’ Anp. «Alcuni di loro sono venuti qui guardandoc­i dall’alto in basso, qualcuno dicendo che la Palestina non esiste», aggiunge Emad Qaisi che vorrebbe che la conversazi­one virasse verso il conflitto israelo-palestines­e. Anche loro, però, sono andati a dare un’occhiata in casa degli «altri». «Noi vendiamo il sale del Mar Morto a un prezzo più basso», afferma con una punta di orgoglio Najjar. È vero, 50 euro al chilo contro i 70,6 degli israeliani, le cui confezioni però paiono meno artigianal­i e più curate. Sabato il padiglione è stato invaso dai bambini arrivati dalla Palestina su invitto di da alcune organizzaz­ioni italiane. «Sono venuti per partecipar­e a Verona a un corso di calcio con Paolo Rossi, il campione della Nazionale italiana», spiega Qaisi: «Basta qualche settimana senza check-point perché si abituino talmente alla libertà che quando tornano hanno bisogno di uno psicologo».

La polemica «Siamo nel cluster delle Zone aride, ma nel nostro territorio non c’è un palmo di deserto»

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Defilato Sopra l’ingresso del padiglione palestines­e, in alto una ragazza mostra alcuni prodotti in vendita

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