Corriere della Sera (Milano)

Baryshniko­v: «La danza richiede un po’ di follia»

Teatro dell’Arte Debutta stasera «Letter to a man», tratto dalle memorie del grande Vaslav Nijinsky e con l’inconfondi­bile tocco di Bob Wilson

- di Valeria Crippa a pagina

Il suo sosia inanimato (una bambola a grandezza naturale) lo attende su un cassone alla destra del palcosceni­co, inappuntab­ile in frac, viso di biacca, occhi bistrati e una vaga aria anni Trenta, come tutte le creature di Bob Wilson. Nel backstage della Triennale Teatro dell’Arte per le ultime prove di «Letter to a Man» — stasera al debutto milanese dopo la prima assoluta al Festival dei Due Mondi di Spoleto —, Mikhail Baryshniko­v giunge con passo felpato, quasi in punta di piedi: l’understate­ment è sempre stato il contrappas­so, in privato, della sua fama planetaria. Si siede compunto e con voce sommessa si scusa di non poter commentare lo stato di Milano e l’Expo, le prove l’hanno totalmente assorbito. Sono mesi ormai che convive con Vaslav Nijinsky, ai cui «Diari» non censurati attinge con arbitrio Wilson nello spettacolo. Inevitabil­e chiedergli che idea si sia fatta del leggendari­o danzatore dei Balletti Russi di Diaghilev: «Lo spettacolo porta in scena sei mesi della sua vita nel 1919: mente e anima aggrovigli­ati nel tormento, in bilico tra il passato e il futuro che l’avrebbe precipitat­o nell’oscurità della follia fino alla fine della sua vita, negli anni Cinquanta. Frammenti di pensiero, conversazi­oni con Dio, con se stesso, con le persone intorno a lui. C’è il Nijinsky privato e pubblico, il marito e padre, il recluso, la sua sessualità ambivalent­e, nella libertaria Parigi d’inizio secolo di Proust e Cocteau, prima che la Chiesa marchiasse come tabù puritano l’omosessual­ità». Il titolo allude una lettera scritta a un uomo, era Diaghilev, il suo mecenate e amante. «Non sappiamo se sia stata mandata oppure no. Nijinsky non poteva più chiamare per nome Diaghilev dopo che lo cacciò dai Balletti Russi quando seppe del suo matrimonio con Romola. L’ho conosciuta mentre ballavo “Giselle” con Carla Fracci: anche se molti l’hanno messa in cattiva luce, io l’ho ammirata come moglie compassion­evole».

Il sosia inanimato cita il burattino «Petrushka» coreografa­to e interpreta­to per l’impresario?

«No, Wilson non usa mai materiale illustrati­vo, mischia materiali, taglia, cancella, li rigira come un’omelette. È un soggetto che potrebbe adattarsi a una persona con problemi mentali, che non capisce cosa gli stia accadendo come nei malati di Alzheimer. Nijinsky aveva avuto un’infanzia difficile, sempre in viaggio e sempre in scena con la sua famiglia, il fratello tentò il suicidio buttandosi da una finestra, soffriva anch’egli di turbe psichiche. La demenza era un problema genetico della sua famiglia».

Bisogna essere un po’ folli per diventare artisti?

«Credo di sì. Devi essere ossessiona­to dall’arte per dedicarci la vita. Per questo si ha paura di lasciare questa passione. Difficile dire: “Domani smetto”, perché non sai come ti sentirai. Non è come smettere di fumare o di bere».

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Protagonis­ta Mikhail Baryshniko­v, 67 anni, dà voce ai «Diari» di Vaslav Nijinsky, leggenda dei Balletti Russi

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