I piccoli migranti senza assistenza dormono in strada
Soli, senza famiglia, soldi e documenti arrivano da Egitto e Kosovo Saturi i centri per minori, molti di loro restano senza assistenza
Dall’Egitto e dal Kosovo, nelle ultime settimane, arrivano a Milano decine e decine di ragazzini soli che non trovano posto nelle strutture per minori. Qualcuno finisce nei dormitori per adulti, molti restano in strada. Un educatore: «Ogni giorno ne collochiamo al massimo uno o due».
I ragazzi della via Dogana ieri mattina erano una «banda» di kosovari. Undici adolescenti, tra i 15 e i 17 anni, partiti ognuno dal suo villaggio, in macchina, a piedi, qualcuno agganciato ai camion a bordo dei traghetti. Si sono conosciuti qui, a Milano, in fila all’Ufficio pronto intervento minori da dove dovrebbero essere collocati in comunità. Se per loro ci fosse posto.
Ci sono stati mesi, dall’inzio dell’anno a metà agosto, in cui di ricoveri per i bambini arrivati da soli ce n’erano molti. In 318 erano stati facilmente alloggiati nelle varie strutture convenzionate col Comune (750 erano stati ospitati nel 2014). Poi la situazione è (di nuovo) precipitata, e gli adolescenti stranieri si radunano a decine, ogni mattina alle 9, tra la fermata del 24 e via Mazzini, al numero 2 di via Dogana. È stata la polizia, che li ha trovati senza adulti e senza documenti, a consegnare loro un foglio con l’indirizzo. Perché la procedura è questa.
Ma quando i centri sono saturi, anche quelli più lontani, l’unica cosa che gli operatori possono fare è rimandare i ragazzini al giorno dopo. «Di trenta, quaranta che si presentano ogni mattina riusciamo a collocarne uno, al massimo due», racconta un educatore. Per la banda dei kosovari è stato ricavato uno spazio nel dormitorio di via Saponaro, assieme ai senza fissa dimora. «Tutti vecchi — si lamenta G., che fa da «capo» soprattutto perché parla italiano — tengono il televisore acceso tutta la notte...». G., straordinariamente sveglio, ha imparato le lingue guardando la tv: «Anche l’inglese e un po’ di tedesco...». La famiglia coltiva la terra: «Ma in Kosovo non c’è niente». Per un anno ha lavorato come muratore, racconta, in modo da raccogliere 800 euro per il viaggio nel bagagliaio di una Mercedes, rannicchiato assieme a due giovani. «I quattro confini li ho passati a piedi». L’ultimo tra la Slovenia e l’Italia, con la macchina che aspettava dall’altra parte.
A Milano vorrebbe studiare. Ha la sua stessa idea un adolescente con gli occhiali tondi che sembra l’intellettuale del gruppo. Tutti gli altri dicono nomi di mestieri: «Meccanico, barista, cameriere, idraulico, cuoco». C’è anche uno che assicura di saper fare la pizza.
Non conoscono nessuno in città, però, e non sanno neanche come passare il tempo. L’altro giorno hanno mangiato (male, dicono) in una mensa e poi vagato sotto la pioggia. Ieri, un educatore li ha accompagnati in tram al Civico Zero di Save the Children (via Soperga 28), che resta per i ragazzini soli l’alternativa migliore: i corsi di italiano al mattino, i laboratori al pomeriggio, e il calcio balilla nelle pause.
Gli egiziani, invece, chiusi gli uffici di via Dogana, si sono dispersi in piazza del Duomo. Kosovari e albanesi sono una novità. «Erano anni che non ne arrivavano più», racconta un operatore, mentre i ragazzini arabi vengono a Milano da anni. Una lunga sospensione fino a metà 2015: tra il primo gennaio e il 30 giugno, ne sono sbarcati in Italia «solo» 143 (nello stesso periodo dell’anno scorso erano stati 885). Poi le famiglie povere dell’Alto Egitto, soprattutto cristiane copte, hanno ripreso a spedirli via mare, a 14, 15 anni perché abbiano il permesso (in quanto minorenni) e lavorino. Solo l’8 settembre in un’unica barca erano 154. Dalla Sicilia a Milano, spesso hanno già qui un contatto, un compaesano che ha una pizzeria, un autolavaggio o un banco al mercato, li prende in affido e li mette a faticare, sottopagati.
Due diciassettenni col cappellino da baseball vanno via con un «parente» che è venuto qui per loro, agli uffici del Comune. Meglio. Chi non ha nessuno finisce spesso per dormire in strada, tra i barboni. Un adolescente magro e tremante di febbre dopo la pioggia di mercoledì s’è steso a riposare nel pianerottolo di un palazzo del centro. La notte l’ha passata sotto i portici. E non è l’unico.