Squadra dei profughi Oggi il «debutto» nel primo torneo
Le conseguenze del divieto erano prevedibili ma certamente non scontate, specie di questi tempi. Dopo che il sindaco di Mortara, il leghista Marco Facchinotti, ha negato l’utilizzo dei campi comunali di calcio per gli allenamenti di una squadra di migranti (nella foto), finirà che i giovani africani, sbarcati in Sicilia, approdati al Nord e fermi nell’eterno limbo (l’attesa dei documenti regolari, di un lavoro, di un alloggio), avranno più impegni dei calciatori professionisti. Mortara, dove i ragazzi originari di Mali, Nigeria e Costa d’Avorio sono accolti nel centro della cooperativa sociale Faber, non ha fatto nessun passo indietro. E il paese della Lomellina, sedicimila abitanti, eccetto la Caritas sta tutto col suo borgomastro, che ha detto d’aver agito per il rispetto delle regole e perché i genitori dei bimbi l’avevano travolto di proteste. Non piaceva, a mamme e papà, che i migranti giocassero gratis (ma poi, sinceramente, non avendo un’occupazione, dove li troverebbero i soldi per pagare?), a differenza dei loro pargoli per i quali viene versata una quota d’iscrizione per usare il campo. Sia come sia, e tolti questi giorni intensi di apparizioni in telegiornali e programmi vari di intrattenimento, adesso la squadra di africani avrà un calendario davvero intenso. Aumentano le richieste di amichevoli da mezz’Italia. A ottobre ci sarà il torneo allo stadio del Pavia organizzato dal sindaco e dalla proprietà cinese della squadra. Martedì inizieranno gli allenamenti ufficiali a Sant’Angelo Lomellina, su un campo che il Comune ha affittato da un agricoltore e che cederà volentieri a patto che la Faber tagli l’erba. A breve arriveranno i talent scout, gli esperti che girano in cerca di campioni: per esempio s’è già fatto vivo un osservatore del Padova. Più nell’immediato, oggi con inizio alle 19, nell’oratorio San Giovanni Battista di Sesto San Giovanni, la Fondazione Cannavò organizza insieme al Csi (e con gli stessi migranti di Mortara ospiti d’onore) il trofeo «... E io porto il pallone». Ovvero quando il calcio è veicolo di integrazione. Va da sé che il compianto direttore della Gazzetta Candido Cannavò, al quale la Fondazione è intitolata, attento com’era al ruolo sociale dello sport, di questa squadra sarebbe stato tifosissimo.