Il reattore che studia i capelli di Napoleone
Università di Pavia, i 50 anni dell’impianto nucleare: l’unico funzionante con fini scientifici
Un reattore piccolissimo, rispetto a una centrale nucleare, ma utilissimo: viene acceso (quasi) tutti i giorni, e impiegato per le più disparate funzioni, dalle applicazioni mediche alle indagini archeologiche, dalle analisi forensi a quelle alimentari. È il Triga Mark II, gestito dal Laboratorio Energia Nucleare Applicata (Lena) dell’Università di Pavia: un complesso unico nel panorama universitario italiano.
PAVIA Quindici novembre 1965, ore 19.30. Un team di scienziati della facoltà di chimica è in sala controllo con lo champagne: il «Triga Mark II» raggiunge la sua prima «criticità» e l’equipe, guidata dal professor Mario Rollier, alza i calici per un brindisi. La foto che sancisce l’avvio dell’attività del Laboratorio di Energia Nucleare Applicata dell’Università di Pavia, è appesa all’ingresso del centro che, oggi, apre le porte per raccontare un’avventura unica e a tratti davvero curiosa. Con le radiazioni prodotte da questo reattore nucleare «cittadino» (assolutamente sicuro) da 250 kW, si studia di tutto.
Attraverso le analisi per «attivazione neutronica», gli scienziati hanno cercato il veleno nei capelli di Napoleone e diviso il Grana padano vero da quello contraffatto. Hanno analizzato i rifiuti industriali di Gela e «bombardato» cellule tumorali, fino a studiare il carburante delle sonde aerospaziali.
«Questa è una delle ultime ricerche – spiega il direttore Andrea Salvini, chimico, 45 anni – cerchiamo di capire se, dopo anni di permanenza in orbita, il combustibile delle sonde sia ancora in grado di riportarle a casa».
Insomma il Triga è un reattore piccolo, anzi, piccolissimo rispetto a una centrale nucleare per la produzione di energia, ma dalle infinite potenzialità.
È alimentato con barre arricchite con uranio 235, di cui la maggior parte sono ancora quelle del 1965. Gli investimenti che l’Università ha affrontato negli anni hanno permesso di modernizzare la struttura che, secondo Salvini «per almeno un ventennio potrà continuare a dare molte soddisfazioni e pochi problemi». Questo, d’altra parte, potrebbe presto rimanere l’unico reattore nucleare d’Italia e già oggi molti aspiranti chimici, fisici e ingegneri arrivano qui da ogni parte. Poco tempo fa sono arrivati persino due studiosi dalla Giordania, curiosi di imparare qualcosa sul suo funzionamento.
Che l’oggetto dell’analisi sia il Brunello di Montalcino o il capello di un sovrano, la tecnica è sempre affidabile e «il campione – afferma Salvini – viene sempre rispettato».
Nella sala controllo, la stessa del primo brindisi di 50 anni fa, le strumentazioni anni ’60 con le lancette pulsanti danno un senso da vecchio film di fantascienza, mentre i pc portatili di ultima generazione riportano al tempo presente.
Per raggiungere la sommità del reattore, si attraversano scale e passatoie sospese nel vuoto. I campioni da analizzare, inseriti in apposite capsule, vengono calati dentro l’acqua a pochi centimetri dal nocciolo con... canne da pesca. Già, gli scienziati usano due canne anni ’60, originali dell’epoca.
«Al posto del filo c’è un cavo elettrico con dei contatti che permette di lasciar cadere la capsula al momento opportuno», spiega il direttore tecnico Daniele Alloni, fisico e pescatore: «in famiglia ridono e mi dicono che riesco a pescare anche dentro un reattore nucleare». Daniele, 43 anni, è uno dei 12 componenti dell’equipe che oggi manda avanti il Lena. «È bello vedere come un oggetto di 50 anni – conclude Michele Livan, responsabile delle infrastrutture di ricerca dell’Università – venga utilizzato ancora da grossi centri come il Cern». Se alcune delle apparecchiature usate nell’acceleratore di Ginevra non si sono distrutte per l’impatto delle fortissime radiazioni presenti, il merito, ancora una volta, va agli esperimenti fatti qui a Pavia. Con due vecchie canne da pesca, un po’ di uranio, e tanta passione.
Il direttore Salvini Questo impianto continuerà a lavorare per almeno altri vent’anni senza problemi