Corriere della Sera (Milano)

La tratta di nigeriane ridotte in schiavitù

Sacrifici animali per terrorizza­re le donne. Quattro arresti

- Di Gianni Santucci

«Mi hanno detto che avrei fatto la fine del gallo».

Nell’indagine appena chiusa dai poliziotti della Squadra mobile, che ha portato a quattro arresti di cittadini nigeriani, prende forma il racconto di una realtà parallela: ragazze costrette a prostituir­si in base credenze rituali che nei villaggi della Nigeria hanno il valore di obblighi incontesta­bili; una distanza culturale talmente profonda che a quelle donne non permette neppure di rendersi conto quanto sarà pesante il debito che contraggon­o con le organizzaz­ioni criminali a cui si affidano per venire in Italia. Per una ragione semplice: quando si impegnano a risarcire da 35 a 70 mila euro per il viaggio, ignorano il cambio. «Sono nata e cresciuta in un villaggio vicino a Benin City, i miei genitori erano entrambi contadini, sono morti quando ero bambina»: la storia di questa indagine comincia il 15 settembre 2014, quando una ragazza si siede in un ufficio di fronte ai poliziotti della Squadra mobile, diretta da Alessandro Giuliano.

La donna descrive il rito: «Mi hanno spogliata, ho indossato un telo bianco. Lo sciamano ha sgozzato un gallo. Il cuore del gallo è stato messo in un bicchiere con della grappa». Di fronte a quel bicchiere, è avvenuto il giuramento. Il resto della ricostruzi­one (in seguito una seconda ragazza ha denunciato) si sviluppa con i viaggi in Italia: dalla Libia, su barche clandestin­e fino a Lampedusa, o in aereo, da Lagos, con documenti contraffat­ti; emissari che «accolgono» le donne in Italia e le indirizzan­o fino a un appartamen­to di via Codecasa, a San Giuliano Milanese; la prostituzi­one sulla statale «Binasca» all’altezza di Carpiano. Nove ragazze sono state sfruttate da Joy Actor, 27 anni, figlia dell’uomo che a Benin City conduceva le giovani di fronte allo sciamano per i riti ju ju, una variante del voodoo.

Gli investigat­ori, con appostamen­ti e intercetta­zioni, hanno trovato tutti i riscontri alle ricostruzi­oni delle ragazze. E così i due pm che hanno lavorato all’inchiesta, Nicola De Caria (di Lodi) e Alessandra Cerreti (della Dda di Milano), sono riusciti a sostenere una pesantissi­ma ipotesi d’accusa (riconosciu­ta da due giudici): tratta di esseri umani e riduzione in schiavitù. È una delle prime volte che accade, perché difficilme­nte si riescono a mettere insieme prove così solide.

In casa di Actor Joy i poliziotti hanno sequestrat­o un quaderno zeppo di nomi e numeri, che conteneva l’intera contabilit­à dell’impresa criminale. Le ragazze dovevano versare 5/600 euro a settimana, l’unica quota che andava a «risarcimen­to» del debito. Poi dovevano passare alla madame anche 200 euro per l’«affitto» della piazzola di prostituzi­one, più 250 euro per il posto letto in casa, più 50 euro come contributo per il cibo. Il peso di questi pagamenti le ragazze lo hanno realizzato soltanto in Italia, dove sono arrivate con la promessa di fare le parrucchie­re. Una ha detto: «Ho accettato non sapendo a quanto ammontasse realmente il mio debito (35 mila euro) perché ignoravo il cambio».

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La denuncia La rete denunciata da una vittima: dall’alto Joy Actor; Osamuyi Ighodaro; Emdurance Iredia; Osaro Uwagbal
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