NUOVA MILANO CARTE IN TAVOLA
Prima il commissario Giuseppe Sala, calato come un asso di briscola nella partita del sindaco. Poi il prefetto Francesco Paolo Tronca, esportato nella capitale come esempio di efficienza. Adesso il progetto di un polo mondiale della ricerca, estensione dell’Istituto Italiano di Tecnologia di Genova, appoggiato come un carico da undici sul tavolo del dopo Expo, con un assegno da centocinquanta milioni del governo. Se fino a ieri Milano sembrava a una distanza siderale dai pensieri di Matteo Renzi, in pochi giorni è diventata centralissima, un campo base politico imprenditoriale che spiazza, sorprende, alimenta speranze e dietrologie, scuote l’orgoglio del mondo accademico e l’autonomia decisionale di Comune e Regione.
Nel vuoto troppo lungo lasciato dalla politica su quel che doveva essere realizzato nell’area dell’esposizione universale è entrato di colpo il decisionismo del premier, con un messaggio diretto alla classe dirigente della città: il governo vuole mettere Milano nelle condizioni di correre, il progetto è ambizioso e può convivere con il campus universitario della Statale e il parco della conoscenza lanciato da Assolombarda. Come? Si vedrà. C’è una disinvoltura di fondo nel mancato coinvolgimento dei centri di ricerca milanesi, messi di fronte al fatto compiuto.
Ma nessuno può negare che un progetto in grado di aggiungere valore a un’area da un milione di metri quadrati deve essere preso in seria considerazione in una città che guarda al futuro. Bene ha fatto il presidente Roberto Maroni a legittimare la titolarità delle decisioni: quando si parla di modello Milano, deve valere per tutti e non si riesce a immaginare un parco della conoscenza senza il campus universitario, architrave di ogni progetto.
In mancanza dell’iniziativa del rettore della Statale Gianluca Vago saremmo ancora nel porto delle nebbie, alle prese con il poco o nulla lasciato da chi doveva pensare per tempo al dopo Expo, e non l’ha fatto. È il peccato originale dei decisori dell’evento mondiale: un errore da correggere in corsa.
Finita la sbornia e anche l’euforia, Milano deve interrogarsi, mettendo tutte le carte in tavola, evitando passi falsi, come nel caso dello stadio del Milan, svanito in un vagabondaggio inutile e dispendioso tra l’area Expo e il Portello. Se le idee ci sono, serve il coraggio di portarle avanti. Insieme, possibilmente.