BON TON (E STILE) QUANDO GLI ADULTI SONO DISTRATTI
AL RISTORANTE
Gentilissima signora Isabella Bossi Fedrigotti, stavo leggendo il Corriere e mi è capitato sott’occhio, nella pagina dei Tempi liberi, un articolo intitolato: «Soli di domenica al ristorante? Come difenderci dalle famiglie», in cui l’autrice parla di un pranzo domenicale allucinante in un ristorante diventato «un campo di battaglia» per via di famiglie numerose, con «nonni al novantaduesimo anno che addentano pezzi di torta in barba alla glicemia» e pargoli ingestibili.
A questo punto vi racconto la mia esperienza, infrasettimanale e con adulti. Giovedì, giorno libero da impegni «nonneschi», dopo una passeggiata in centro, ci fermiamo a mangiare un hamburger, di quelli sfiziosi, in un piccolissimo locale che ci ha incuriosito per la varietà di panini che proponeva. Il locale, minuscolo, aveva solo una saletta con sei tavolini, tre su una parete e tre su quella di fronte, eravamo quindi sei coppie. Inutile premettere che c’era il solito, scontato, «sopraffondo» musicale. La cosa più incredibile era ascoltare, perché costretti, i discorsi delle altre cinque coppie che, a tutto volume, infischiandosene della riservatezza loro e di quella degli altri, parlavano dei fatti loro, incuranti del tono di voce che man mano si faceva sempre più alto. Sono stata costretta a rivalutare Whatsapp che, alla fine, era l’unico modo di comunicare senza dover ripetere tre volte la stessa frase.
Siamo usciti in fretta e ci siamo scambiati fuori i commenti su quello che avevamo trangugiato. Ho dedotto che quelli che frequentano il ristorante solo alla domenica — e che si comportano come barbari — sono soprattutto le famigliole di quei ragazzi (e giovani adulti) che si possono trovare, fino al giorno prima, da single, seduti ai tavoli dei ristoranti. Ragazzi e adulti che si servono degli spazi comuni come se fossero di loro uso esclusivo, infischiandosene della privacy loro e di quella degli altri. Sempre di buona educazione si tratta. Mentre la nonna mangia e tace.
In altri tempi le avrei potuto suggerire di trasferirsi in Germania dove al ristorante sussurravano tutti come fossero stati in biblioteca: ma quei tempi — per lei felici — sono tramontati e gli avventori tedeschi si sono nel frattempo abbastanza italianizzati raggiungendo marcati livelli di sonorità. Oggi posso soltanto raccomandarle di evitare, sia di domenica che di giovedì, i locali troppo piccoli e troppo pieni poiché il confine tra comunicazione e maleducazione è evidentemente assai sottile. Tuttavia — non me ne voglia — mangiare a tacere forse somiglia un po’ troppo a una punizione per indisciplinati bambini del passato. ambientale. Ospitare dei clandestini è cosa ben diversa. Soprattutto quando di mezzo ci sono i soldi dei lombardi. Cà Matta sul colle della Maresana è e resterà un paradiso verde, nonostante le bugie strumentali di qualcuno.
Il quartiere, oggi, è in trasformazione, a poca distanza da Ripa Ticinese e dal dinamismo dell’area attorno a Darsena e Navigli. Ma quando aprì la storica latteria Mancini di via Villoresi 31, nel 1954, questo era un quartiere molto popolare, e periferico, della vecchia Milano. Nell’immagine sopra, inviata dal nostro lettore Massimo, ecco il giorno dell’inaugurazione: «Da sinistra mio nonno e mio papà con un amico, autore della scritta». La latteria ha chiuso nel 2008.