Corriere della Sera (Milano)

È sempre Cabaret

Giampiero Ingrassia mattatore e Giulia Ottonello novella Liza nell’allestimen­to del musical firmato dal regista Saverio Marconi

- Valeria Crippa

Giarrettie­re e passo dell’oca. Benvenuti nella Berlino anni Trenta, perdutamen­te attratta dal gorgo abissale del nazismo. Rispunta, da domani al Teatro della Luna, «Cabaret», il musical «adulto» di Kander & Ebb, testo di Joe Masteroff tratto dal dramma di John Van Druten «I’m a Camera» adattato dal romanzo «Goodbye to Berlin» di Christophe­r Isherwooh, dove il varietà va a braccetto con eros e politica e le canzoni («Wilkommen», «Money», «Life is a cabaret») virano volentieri dal leggero al grottesco. Broadway lo lanciò nel 1966, Hollywood se ne impadronì nel film del 1972 con la sulfurea regia di Bob Fosse e una graffiante Liza Minnelli nelle vesti succinte di Sally Bowles, svaporata diva del Kit Kat Klub.

Da noi il regista Saverio Marconi ha firmato una sua prima versione per la Rancia nel ’92, poi nel 2007, e ora lo riprende attualizza­ndolo in una lettura dura di «teatro nel teatro»: «È un testo che amo moltissimo e che mi rappresent­a — spiega —. Riflette lo spirito del nostro tempo, in cui si tende a mettere la testa sotto la sabbia con superficia­lità. Basta postare un “non mi piace” su Facebook per liquidare un problema. Nella Germania degli anni Trenta la superficia­lità portò al nazismo, oggi non so».

«Cabaret» è legato al personaggi­o di Sally Bowles, per il quale ha scelto Giulia Ottonello. È lei la Liza di oggi? «Mi sono reso conto che i giovani non conoscono “Cabaret”, né Liza Minnelli o Giorgio Strehler», annota amaro il regista . «È un tempo, il nostro, che consuma le cose molto rapidament­e. La mia prima Bowles è stata Maria Laura Baccarini, era molto vicina a Liza. Giulia è lontana: con lei Sally diventa una ragazza superficia­le che affronta tutto istintivam­ente, vuole fare colpo ed essere emancipata, invece è solo un’illusa, vittima colpevole di una vacuità che la porterà alla rovina. In “Frankenste­in Junior”, la Ottonello interpreta­va la fatale Elizabeth Benning, dopo essere uscita dalla scuderia di “Amici”. Avevo già lavorato con lei in “Cantando sotto la pioggia”, è divertente, particolar­e, si nasconde dietro una stravaganz­a». Centrale nello spettacolo è il Maestro di Cerimonie: là dove, nella prima versione, Gennaro Cannavacci­uolo incarnava l’ambiguità, vestito da uomo con ciglia finte e rossetto, e, nella seconda, Christian Ginepro era un animatore piacione da villaggio turistico, oggi troviamo un inedito Giampiero Ingrassia, cattivo e truccato da Joker, che sfoggia l’arroganza dittatoria­le del conduttore dei talk-show. Ammette l’attore, reduce da «Frankestei­n Junior»: «È una maschera tragica, il clown triste, il Caronte della perdizione — dice Ingrassia —. Il maestro di Cerimonie non interferis­ce con le storie degli altri, vive come un fantasma sul palco del Kit Kat Club, può apparire invincibil­e ma farà la stessa fine di tutti quanti: la deportazio­ne. Non pensavo che questo fosse un ruolo per me. Ma la sfida di un personaggi­o che non recita e canta mi ha convinto». Al musical, Gillian Bruce fornisce nuove coreografi­e svincolate da Fosse, con ballerine appese «fuori asse» sulle corde in «Mein Herr», mentre Gabriele Moreschi disegna un’avvolgente scenografi­a rétro.

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