LA NECESSITÀ DELLA POLITICA
L a Milano convergente condivide orizzonti e quotidianità. Alla fine, se non fosse per una logica di bandierine, metterebbe insieme — come sindaco — un candidato unico. Le stesse primarie, che nascono come luogo di rappresentanza, si convertono in rappresentazione di un’idea di città in cerca di estreme semplificazioni e raffinati spicciafaccende. La stagione dei sindaci manager — iniziata già da tempo — supera la velleità della politica-politica, ma anche il «ghe pensi mi» di un artigianato postpartitico di chi insieme fa primo cittadino, direttore generale e assessore ai lavori pubblici. Il manager prestato alla politica «maneggia» la fatica di altri, sa delegare, conosce la macchina e infine sintetizza, senza pancia, un lavoro amministrativo «ben fatto».
La Milano della consapevolezza convergente si è addormentata come Cenerentola, che spazza le macerie di recenti parziali corruzioni, e si è risvegliata ballando col principe nel nuovo skyline, nella sbornia Expo, nel recupero d’immagine internazionale. Questo modello richiede comunque i fondamentali di un civismo ancora vivo. Anche se l’habitat è cambiato. Qualche decennio fa, ad esempio, i giovani meridionali in cerca della frontiera, si domandavano come innamorarsi di una milanese, scontando così la «cultura del fare» dentro casa anche quando avresti voluto sospendere la vita, la parsimonia ontologica per cui ogni acquisto dev’essere «un affare», l’estrema formalità nei rapporti anche con gli amici, perché poi i giudizi allegri richiedono perigliosi recuperi. Oggi la famiglia ristretta del semicentro convive con quella allargata straniera, intessuta di piccole imprese e badanti arrossite sulle panchine, e — al tempo stesso — si scioglie nelle reti lunghe dei figli che scappano in giro per il mondo, degli amministratori delegati stranieri in centro, dei rabdomanti da smart city.
Questa modernità ritrovata e convergente — che concupisce gli invasati delle app dagli impermeabili minimi e scarpe lucide — non risolve però la metropoli divergente. Quella delle periferie con le antenne paraboliche come totem del disagio abitativo, dei piccoli commercianti dei quartieri come veterani ai confini dell’impero, dei giardini spelacchiati. C’è la vita media degli anziani dignitosi, degli impiegati afoni senza Facebook, dei giovani smorzati da un precariato esistenziale, delle casalinghe che raspano il banco del mercato. E per ridare senso ai milanesi medi senza questa Milano forse non basta il rosario risorsemezzi-obiettivi. Serve, magari, ancora un po’ di politica.