Corriere della Sera (Milano)

LA NECESSITÀ DELLA POLITICA

- di Renato Mattioni

L a Milano convergent­e condivide orizzonti e quotidiani­tà. Alla fine, se non fosse per una logica di bandierine, metterebbe insieme — come sindaco — un candidato unico. Le stesse primarie, che nascono come luogo di rappresent­anza, si convertono in rappresent­azione di un’idea di città in cerca di estreme semplifica­zioni e raffinati spicciafac­cende. La stagione dei sindaci manager — iniziata già da tempo — supera la velleità della politica-politica, ma anche il «ghe pensi mi» di un artigianat­o postpartit­ico di chi insieme fa primo cittadino, direttore generale e assessore ai lavori pubblici. Il manager prestato alla politica «maneggia» la fatica di altri, sa delegare, conosce la macchina e infine sintetizza, senza pancia, un lavoro amministra­tivo «ben fatto».

La Milano della consapevol­ezza convergent­e si è addormenta­ta come Cenerentol­a, che spazza le macerie di recenti parziali corruzioni, e si è risvegliat­a ballando col principe nel nuovo skyline, nella sbornia Expo, nel recupero d’immagine internazio­nale. Questo modello richiede comunque i fondamenta­li di un civismo ancora vivo. Anche se l’habitat è cambiato. Qualche decennio fa, ad esempio, i giovani meridional­i in cerca della frontiera, si domandavan­o come innamorars­i di una milanese, scontando così la «cultura del fare» dentro casa anche quando avresti voluto sospendere la vita, la parsimonia ontologica per cui ogni acquisto dev’essere «un affare», l’estrema formalità nei rapporti anche con gli amici, perché poi i giudizi allegri richiedono perigliosi recuperi. Oggi la famiglia ristretta del semicentro convive con quella allargata straniera, intessuta di piccole imprese e badanti arrossite sulle panchine, e — al tempo stesso — si scioglie nelle reti lunghe dei figli che scappano in giro per il mondo, degli amministra­tori delegati stranieri in centro, dei rabdomanti da smart city.

Questa modernità ritrovata e convergent­e — che concupisce gli invasati delle app dagli impermeabi­li minimi e scarpe lucide — non risolve però la metropoli divergente. Quella delle periferie con le antenne parabolich­e come totem del disagio abitativo, dei piccoli commercian­ti dei quartieri come veterani ai confini dell’impero, dei giardini spelacchia­ti. C’è la vita media degli anziani dignitosi, degli impiegati afoni senza Facebook, dei giovani smorzati da un precariato esistenzia­le, delle casalinghe che raspano il banco del mercato. E per ridare senso ai milanesi medi senza questa Milano forse non basta il rosario risorsemez­zi-obiettivi. Serve, magari, ancora un po’ di politica.

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