Corriere della Sera (Milano)

La madre di Lidia «Chi sa parli»

In cella l’accusato ostenta serenità: fiducia nella giustizia

- di Andrea Galli

Muto nel doppio interrogat­orio di ieri. Ma all’avvocato, Stefano Binda ( foto), arrestato venerdì con l’accusa di aver stuprato e ucciso Lidia Macchi nel gennaio del 1987, ha ripetuto che non c’entra con l’accusa e si è detto fiducioso nella giustizia.

Tace l’arrestato e tacciono i non indagati. Ma se Stefano Binda, muto nel doppio interrogat­orio di ieri (prima con il gip Anna Giorgetti, poi con il sostituto procurator­e generale Carmen Manfredda), lunedì aveva ripetuto all’avvocato che «io non ho fatto niente, ho fiducia nella giustizia», l’intera cerchia di Comunione e liberazion­e, cui appartenev­a Lidia Macchi e appartiene il suo presunto assassino, non si muove dalla posizione. Quasi che siano tutti quanti d’accordo o, addirittur­a, stiano obbedendo a una specie di ordine di scuderia. Non uno che parli. Compreso Marco Pippione, influente figura locale di Cl, punto di riferiment­o per la comunità e fra i primi chiamati da Binda appena è finito nei guai; compreso don Giuseppe Sotgiu, amico di Binda fin dall’infanzia e così legato da coprirgli l’alibi; e compresa Patrizia Bianchi (già innamorata dell’arrestato e vicinissim­a a Lidia), figura decisiva per la riapertura dell’inchiesta con le sue rivelazion­i.

Con oggi, sono sei giorni che l’uomo catturato dalla squadra Mobile di Varese è in cella. Fin da subito, in prigione, Binda ha mantenuto tranquilli­tà e un’apparente serenità. Anche negli interrogat­ori è stato calmo, controllat­o, con l’obiettivo di comunicare il in generale, in tutta la provincia di Varese, la «cortina» di Comunione e liberazion­e si starebbe facendo sempre più insistente?

C’è un particolar­e, l’ennesimo, riaffiorat­o nella dolorosa memoria della mamma di Lidia, Paola, e raccolto dal quotidiano La Prealpina. Nelle settimane antecedent­i la morte, la figlia le aveva detto che c’era un suo amico che girava con un coltello. Forse, nella cerchia, qualcuno può ricordarsi, confermand­o o smentendo. La famiglia è fermamente convinta che la verità sia ancora parziale. Altrimenti l’avvocato Daniele Pizzi non avrebbe invitato «chi sa» a «farsi avanti». Dall’orrore sono passati ventinove anni.

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