Un ufficio su tre è sfitto o invenduto «Inquinano, non conviene convertirli»
Oltre un milione di metri quadrati di scarsa qualità. Gli esperti: uno spreco, c’è domanda
Centinaia di uffici sul mercato da tantissimo tempo, sfitti o invenduti. Non tanto per carenza di domanda, ma piuttosto perché obsoleti e di qualità scadente. Uno studio di Assimpredil Ance, Bnp Paribas Re e Centro ricerche per l’edilizia (Cresme) sciorina numeri che non lasciano scampo: un immobile su tre destinato al terziario è lì a ingessare il settore, incapace di destare l’interesse di un acquirente.
Per forza: nella maggior parte dei casi (60 per cento) è di classe energetica G, l’ultima e più scarsa. Si parla di 1,2 milioni di metri quadrati quasi «di scarto», che sarebbe antieconomico riconvertire. Un altro 28 per cento oggi ha qualità «appena sufficienti», e solo il 12 per cento risponde alle «caratteristiche elevate» che i professionisti ormai richiedono. È un paradosso.
In ogni quartiere nascono spazi di coworking all’avanguardia e con tutti i comfort, mentre interi palazzi restano vuoti e le aziende si spostano fuori. Alla ricerca di canoni bassi e prestazioni energetiche efficienti che riducano i costi di gestione. Ma in città cosa rimane, allora? Metà dello sfitto o invenduto si concentra dentro i Bastioni, dice la ricerca. In dettaglio: il 23 per cento è nel centro storico che si presenta «pieno di edifici — magari antichi e di pregio — vuoti, perché costosi e non proficui», dice ancora la ricerca. Un altro 25 per cento si trova a ridosso della cerchia dei Navigli, appena più fuori. Il resto distribuito nelle periferie tra sud, nord, ovest e (in misura minore) est.
«È uno spreco, un’occasione persa di riuso — dice Marco Dettori presidente di Assimpredil Ance —. Ci vorrebbe una coraggiosa riqualificazione che adegui la realtà immobiliare alla domanda esistente e potenziale, non c’è bisogno di edificare nuova superficie».
Attrezzarsi conviene anche perché Milano si sta ripopolando di giovani e il fenomeno è destinato a resistere, secondo il direttore del Cresme, Lorenzo Bellicini. «Dal 2001 al 2008 se ne sono andati 38 mila residenti, ma dal 2009 ad oggi la città ha recuperato 122 mila abitanti. Per lo più sono italiani e hanno tra i 24 e i 39 anni: persone che hanno voglia di lavorare, ma hanno bisogno di uffici dove farlo».
Milano città del terziario: può essere, a un patto. «Devono cambiare in primis le politiche», è il j’accuse di Matteo Cabassi, consigliere delegato di Assoimmobiliare e ad di Brioschi. La società di costruzioni è appena entrata con il 17 per cento in Euromilano ed è impegnata nella zona sud con il complesso Milanofiori («quasi finito»), e a ovest con Cascina Merlata. «Gli oneri di urbanizzazione, in particolare per le bonifiche, sono troppo elevati, rendono impossibili alcune operazioni che altrimenti potrebbero funzionare», è la sua critica. C’è poi il problema dei tempi lunghi e incerti di realizzazione delle opere: «Gli investitori cercano stabili di qualità e non transigono, vogliono l’edificio entro 24 mesi massimo, fatto finito e perfetto. Ce ne si mette il doppio». È un pubblico esigente, quello da soddisfare. Che chiede, paga (poco), e pretende.
Le aree Expo, poi, sono un discorso a parte: «L’idea di un centro di ricerca (l’Lit di Genova) può funzionare, dovrebbero poi spostarsi le università — dice Cabassi —. Ci vorranno comunque non meno di 8 o 10 anni, viste le dimensioni». Sulle sorti degli scali ferroviari l’assessore all’Urbanistica Alessandro Balducci è sconsolato: «Una ferita per la città, ma stiamo trattando con le Ferrovie». Bene Santa Giulia e CityLife, «ripartite», mentre per altre zone (come Porta Vittoria o il Portello) «si deciderà a breve».
Il piano strategico di sviluppo del territorio, infine, «va aggiornato entro il 2017». Ma, dice l’assessore, «lo farà la Città metropolitana».
La tendenza Tanti i giovani che, alla ricerca di uno spazio, decidono di rivolgersi ai coworking