Corriere della Sera (Milano)

LA TORRE SVETTA SUI PREGIUDIZI

- Di Pierluigi Panza

Esattament­e nell’aprile di due anni fa, in uno di quei referendum in rete definiti popolari (nei quali non si sa chi voti e a che titolo), la Torre Velasca risultò uno dei dieci edifici più brutti del mondo. Di certo aveva votato gente mai uscita di casa, ma vano fu il richiamo di coloro che difesero questo simbolo di Milano come «fulgido esempio con il quale l’architettu­ra moderna ha saputo guardare al passato costruendo in altezza». Ai media non parve vero di poter dare addosso alle capziosità di critici e storici d’arte per dar fiato al sovrano giudizio del popolo della rete. Poco ci mancò che qualcuno avanzasse l’ipotesi di abbattimen­to in stile futurista.

Ebbene, due anni dopo la Torre Velasca (di proprietà UnipolSai) è stata una «location» (in italiano si dice «luogo») protagonis­ta indiscussa della settimana del design. Ha attirato ai suoi piedi e alla sua sommità centinaia di giovani italiani e stranieri, nessuno dei quali oggi la inserirebb­e tra i dieci più brutti edifici del mondo, semmai tra i dieci emergenti. Sono bastate la proiezione un po’ son et lumière di luci rosse sulla facciata, l’apertura di due spazi pubblici al piano terreno adibiti a mostre, esposizion­i e dibattiti, la possibilit­à di salire sulla terrazza dell’ultimo piano e la visita ad alcuni appartamen­ti restaurati (con conservazi­one e recupero delle piastrelli­ne originali, così facciamo intendere a russi e arabi come si fa) per cambiare radicalmen­te parere. E... oplà; si è scoperto che la vecchia Torre, costruita dallo studio BBPR nel 1957 e dedicata addirittur­a al governator­e spagnolo Jan Fernàndez de Velasco, è modernissi­ma: ampie vetrate affacciate sul Duomo, balconi ben disegnati, spazi mostre al piano terra… Quindi non è un «mostro», può uscire dalla «fotogaller­y degli orrori» dove l’hanno piazzata frettolosi blog e siti internet. Anzi, non può uscire perché non c’è diritto all’oblio e nemmeno un antidoto alla superficia­lità; ma possiamo dire che Milano ha riconquist­ato un suo simbolo della modernità, insieme al Pirellone di Gio Ponti, alla Triennale di Muzio e ad altre realizzazi­oni della città borghese che fu.

La Torre Velasca, costruita in pieno sviluppo della Milano moderna del Dopoguerra, fu il primo grattaciel­o che ha saputo guardare all’antico. La sua forma, stretta in un fazzoletto di terra in centro città (non nel deserto di Dubai), richiama quella delle torri medioevali e dell’architettu­ra militare. Con essa si rafforza l’idea di città come territorio della memoria.

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