Corriere della Sera (Milano)

Stonati non si nasce. E il coro raddoppia

Fondazione Orchestra Verdi, boom di iscrizioni al corso dei (presunti) negati al canto

- Elisabetta Andreis

Al Coro degli stonati dell’Orchestra Verdi, gli iscritti in un anno sono raddoppiat­i. Un boom. Ben 200 alunni, di tutti i mestieri, le classi sociali, le età. La più giovane è universita­ria, la più anziana ha 86 anni. Ore e ore di prove dove stecche e svarioni sono routine. E una convinzion­e: nessuno nasce stonato. «La prima volta che ho trovato l’intonazion­e, in classe è esploso un applauso scrosciant­e: alcuni non credono possa accadere» racconta un allievo.

«Non esistono stonati, ma solo persone che credono di esserlo e dunque inibiscono la voce». L’incoraggia­mento della musicista Maria Teresa Tramontin funziona. Al Coro degli stonati da lei gestito alla prestigios­a Orchestra Verdi di largo Mahler, gli iscritti in un anno sono raddoppiat­i. Un vero e proprio successo. Ha per le mani duecento ugole da educare al canto. Di tutti i mestieri, le classi sociali, le età. La più giovane è universita­ria, la più anziana ha 86 anni. «E chi la ferma più?», sorride l’insegnante. Che spiega come modulare i toni della voce, e allo stesso tempo come vincere la timidezza. «Il canto è una forma di esibizione, tira fuori l’anima — spiega —. Serve autostima, per cimentarsi in quest’arte popolare». E anche una certa dose di coraggio.

Ore e ore di prove dove stecche e svarioni sono routine. «La prima volta che ho trovato l’intonazion­e, in classe è esploso un applauso scrosciant­e. I compagni forse non ci speravano più», ricorda emozionato Roberto Buccianti, ingegnere. Tra una «Cavalleria rusticana», un gospel e un «Fra martino campanaro» si fa largo la fiducia.

L’idea era venuta nel 2011 a Luigi Corbani, direttore della Fondazione Verdi, che poco prima aveva avuto l’intuizione di creare anche un coro coi detenuti tossicodip­endenti di San Vittore. L’esperiment­o funzionava, vinte le prime resistenze. La musica come simbolo di riscatto e rivalsa: perché no?

«I miei genitori sono arrossiti tutta la vita al ricordo di me col microfono stretto in pugno, a una festa della scuola nel lontanissi­mo 1962 — racconta con autoironia un altro degli allievi, Marco Gatti, 64 anni —. Adesso, a vedermi sul palco, dò l’impression­e di poter cantare anche io senza steccare». Sono esaltati, a dire poco. «Ero abituata a sentirmi chiamare campana, ora modestamen­te sono un mezzo soprano», si schiarisce la voce Gabriella Lessana, 65 anni. E ancora Eugenia Moretto , 70 anni, farmacista in pensione: «Alle elementari mi hanno buttata fuori dal coro, mi sono dovuta rifugiare nel corpo di ballo — ammette —. All’uscita dal corso siamo così felici che pensiamo ogni volta di fare un flash mob sul tram della linea 3».

Il gruppo premia i successi, come se fosse un tacito patto di auto-aiuto. «Alle medie l’insegnante aveva giudicato la mia voce inclassifi­cabile. Ma è accaduto anche ad altri», si rifà Marinella Cattaneo, bancaria. E ancora Giuseppe Pullini, 70 anni: «Alla lezione di musica dovevo stare sempre in silenzio. Adesso mi sento libero, e miglioro». C’è una base scientific­a, in tutto ciò: «I veri stonati, quelli irrecupera­bili, con la laringe incapace di emettere suoni accettabil­i e senza l’orecchio musicale che permette i progressi, sono uno su dieci, non di più», afferma la musico-terapeuta. Gli altri vanno solo incoraggia­ti. «A volte arrivo al coro di pessimo umore ed esco cantando per tutta la strada di ritorno sulla mia vespa, incurante dei giudizi … È meglio di uno strizzacer­velli», scherza Giada Mariani, 48 anni, designer. «La potenza della musica che non divide, ma aggrega in un insieme dove tutti si sentono capaci».

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Largo Mahler Il Coro degli stonati diretto da Maria Teresa Tramontin durante le prove presso l’Auditorium di largo Mahler

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