Stonati non si nasce. E il coro raddoppia
Fondazione Orchestra Verdi, boom di iscrizioni al corso dei (presunti) negati al canto
Al Coro degli stonati dell’Orchestra Verdi, gli iscritti in un anno sono raddoppiati. Un boom. Ben 200 alunni, di tutti i mestieri, le classi sociali, le età. La più giovane è universitaria, la più anziana ha 86 anni. Ore e ore di prove dove stecche e svarioni sono routine. E una convinzione: nessuno nasce stonato. «La prima volta che ho trovato l’intonazione, in classe è esploso un applauso scrosciante: alcuni non credono possa accadere» racconta un allievo.
«Non esistono stonati, ma solo persone che credono di esserlo e dunque inibiscono la voce». L’incoraggiamento della musicista Maria Teresa Tramontin funziona. Al Coro degli stonati da lei gestito alla prestigiosa Orchestra Verdi di largo Mahler, gli iscritti in un anno sono raddoppiati. Un vero e proprio successo. Ha per le mani duecento ugole da educare al canto. Di tutti i mestieri, le classi sociali, le età. La più giovane è universitaria, la più anziana ha 86 anni. «E chi la ferma più?», sorride l’insegnante. Che spiega come modulare i toni della voce, e allo stesso tempo come vincere la timidezza. «Il canto è una forma di esibizione, tira fuori l’anima — spiega —. Serve autostima, per cimentarsi in quest’arte popolare». E anche una certa dose di coraggio.
Ore e ore di prove dove stecche e svarioni sono routine. «La prima volta che ho trovato l’intonazione, in classe è esploso un applauso scrosciante. I compagni forse non ci speravano più», ricorda emozionato Roberto Buccianti, ingegnere. Tra una «Cavalleria rusticana», un gospel e un «Fra martino campanaro» si fa largo la fiducia.
L’idea era venuta nel 2011 a Luigi Corbani, direttore della Fondazione Verdi, che poco prima aveva avuto l’intuizione di creare anche un coro coi detenuti tossicodipendenti di San Vittore. L’esperimento funzionava, vinte le prime resistenze. La musica come simbolo di riscatto e rivalsa: perché no?
«I miei genitori sono arrossiti tutta la vita al ricordo di me col microfono stretto in pugno, a una festa della scuola nel lontanissimo 1962 — racconta con autoironia un altro degli allievi, Marco Gatti, 64 anni —. Adesso, a vedermi sul palco, dò l’impressione di poter cantare anche io senza steccare». Sono esaltati, a dire poco. «Ero abituata a sentirmi chiamare campana, ora modestamente sono un mezzo soprano», si schiarisce la voce Gabriella Lessana, 65 anni. E ancora Eugenia Moretto , 70 anni, farmacista in pensione: «Alle elementari mi hanno buttata fuori dal coro, mi sono dovuta rifugiare nel corpo di ballo — ammette —. All’uscita dal corso siamo così felici che pensiamo ogni volta di fare un flash mob sul tram della linea 3».
Il gruppo premia i successi, come se fosse un tacito patto di auto-aiuto. «Alle medie l’insegnante aveva giudicato la mia voce inclassificabile. Ma è accaduto anche ad altri», si rifà Marinella Cattaneo, bancaria. E ancora Giuseppe Pullini, 70 anni: «Alla lezione di musica dovevo stare sempre in silenzio. Adesso mi sento libero, e miglioro». C’è una base scientifica, in tutto ciò: «I veri stonati, quelli irrecuperabili, con la laringe incapace di emettere suoni accettabili e senza l’orecchio musicale che permette i progressi, sono uno su dieci, non di più», afferma la musico-terapeuta. Gli altri vanno solo incoraggiati. «A volte arrivo al coro di pessimo umore ed esco cantando per tutta la strada di ritorno sulla mia vespa, incurante dei giudizi … È meglio di uno strizzacervelli», scherza Giada Mariani, 48 anni, designer. «La potenza della musica che non divide, ma aggrega in un insieme dove tutti si sentono capaci».