Corriere della Sera (Milano)

Se le carte svelano il volto degli uomini

- di Davide Van De Sfroos

Inonni giocavano a carte anche dopo il calar del sole. Erano alligatori con le ossa lunghe che spuntavano dalle loro giacche, come se fossero condannati a crescere in eterno. Si portavano dietro una scia obbediente di acqua di colonia, da usar con parsimonia come il fiato, che doveva essere tenuto da conto per le sigarette. Le sigarette le vedevi poi tutte sfinite, strozzate, premute e sfregate dentro al contenitor­e nel centro del tavolo. Sotto i loro occhi non faticavi a notare rughe da sauri che avevano attraversa­to le epoche e le cartine geografich­e, i lavori più imprevedib­ili e quelli più maledetti.

TSEGUE DALLA PRIMA utto quello che gli era toccato vedere adesso era lì, immobile ma ancora capace di diventare fluido, dentro quel liquido torbido e ambrato che arrivava a sporcare perfino le loro pupille. Le bocche sempre più ferme e gli zigomi sempre più armati, reggendo in mano il ventaglio di carte, arma di difesa ma anche di attacco. Notavi la loro consapevol­ezza di avere fatto tutto quello che avevano dovuto fare, da bambini fino ad oggi, con parole, opere e omissioni, con rimpianti eterni e fierezza rampicante su qualche parete del cuore. Le carte sanno sempre tutto e rivelano cose, ma poco per volta, le devi calibrare, non le devi spazientir­e e mai farle incazzare. Il pugno batte ogni tanto furioso sul tavolo e la memoria è una rondine che non sempre ritorna. Chi di loro era stato galantuomo e paziente, persona di fatica o padrone di uno stile e persona di grande ironia, lo era anche durante la partita e usava i suoi semi aguzzi di quadri e di cuori con la stessa riverenza che aveva per il futuro, il futuro che non avrebbe visto e forse nemmeno capito, ma per il quale aveva lavorato tutta la vita, giocando le sue carte migliori pensando ai suoi figli e nipoti.Gente venuta dal suo stesso sangue che avrebbe vissuto dentro una barca che anche lui aveva costruito. Chi era stato un farabutto, scaltro e abile ad usare gli altri, anche nel gioco era tale, le sue carte rosse erano sempre piccanti e svergognat­e, quasi sanguinose e veloci come una ferita, mentre quelle nere diventavan­o letali, taglienti, velenose e ciniche; i suoi inviati di corte, sia fanti che re o regine, non erano ambasciato­ri come quando li giocavano gli altri, ma erano sicari, mercenari, guerrieri o regnanti corrotti e assassini. Erano persone come queste che spesso vincevano le partite a carte, ma quando li si sorprendev­a guardare di nascosto verso quella barca del futuro che anche loro avevano costruito con il loro vivere, un brivido non dichiarato li tagliava a metà, accompagna­to da un lento e stagnante terrore, quello di sospettare che il Futuro potesse essere figlio loro e somigliarg­li.…così, mentre gli altri ammiravano il tramonto cercando di intravvede­re l’aspetto dell’avvenire, loro stavolta buttavano il mazzo all’aria e preferivan­o sperare di non vedere niente. Scopa!

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