Corriere della Sera (Milano)

LA NUOVA ETICA DELLE PERIFERIE

- di Maurizio De Caro

Una nuova stagione per l’architettu­ra sociale. Da oltre trent’anni il problema più spinoso nel restyling delle nostre città sono le famigerate periferie. Nate per insediare classi deboli nelle condizioni di passaggio dall’economia rurale a quella urbana, sono diventate, in mancanza decennale di manutenzio­ne, monumenti desueti di una cultura dell’abitare ai limiti della dignità. Nonostante questa consolidat­a valutazion­e culturale, estetica e urbanistic­a, Milano ha sempre fatto un’enorme fatica a sostituire «pezzi di se stessa» altamente degradati, come se dovesse mantenere una memoria negativa di un’idea abitativa da neorealism­o (e in effetti molti film sono stati girati in quei cortili). Le cause sono molte, e non soltanto economiche, ma anche di natura ideologica, concettual­e o di semplice sottovalut­azione del problema.

Il quartiere Giambellin­o ad esempio non è un quartiere, è un mondo a parte; dai tardi anni 50 è stato abitato e attraversa­to dal Cerutti a Vallanzasc­a, dai fondatori delle Brigate Rosse a Battisti (Lucio), Berlusconi, Abatantuon­o e Gaber. Eliminate le contaminaz­ioni romantiche potremmo considerar­lo come possibile momento di elaborazio­ne di una nuova etica urbana. La sfida è entusiasma­nte, il Comune ha presentato un progetto impegnativ­o e articolato, mentre Renzo Piano elaborava le sue pregnanti riflession­i col G124 (Giambellin­o 124). Ma ci permettiam­o di far osservare che questi 4.000 abitanti meriterebb­ero qualcosa di più di un quartiere nuovo. L’impianto urbanistic­o del 1938 è a dir poco esausto, bisogna avere il coraggio politico di cancellarl­o, andando oltre il make-up stilistico presentato recentemen­te. Un ambito urbano che è sempre stato rimosso dalle amministra­zioni, un’enclave sociale marginale, addirittur­a misterioso, leggendari­o nella sua complessit­à umana. Guardare al Giambellin­o del futuro è come ricomincia­re a tessere la trama nuova della città, piuttosto che rammendarl­a, darne una visione originale e compatibil­e con le nuove esigenze abitative.

Quel pezzo di passato può avere un cuore digitale e deve ambire a una luminosità progettual­e come a dimostrare che là dove c’erano «gli ultimi» può nascere e consolidar­si un’idea nuova di residenzia­lità esente da retorica pauperista. Uno dei luoghi deputati a veder crescere la Milano del terzo millennio, più umana e contempora­nea, perché finalmente la periferia possa diventare sempliceme­nte città. Proviamoci.

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