Diffamazione a poliziotti e carabinieri, assolta la sorella di Giuseppe Uva
Cambio di scena nel caso di Giuseppe Uva: dopo l’assoluzione di 6 poliziotti e 2 carabinieri accusati di aver picchiato l’operaio 43enne e poi scagionati, a finire sul banco degli imputati ieri è stata la sorella, Lucia Uva. La donna che con Ilaria Cucchi, in questi due anni, è stata il volto mediatico dei casi di presunti abusi delle forze dell’ordine contro i cittadini. La Uva è stata assolta dal giudice Cristina Marzagalli di Varese dall’accusa di diffamazione, perché il fatto non costituisce reato. Il pm Giulia Troina aveva chiesto un anno e 2 mesi di carcere e una multa, ma l’avvocato della difesa Fabio Ambrosetti è riuscito a convincere il giudice che la sua assistita, quando nel 2011 durante una puntata de Le iene disse che il fratello era stato violentato, fu indotta in errore da una perizia medica che le fu sottoposta a caldo. La notizia che ricevette la agitò a tal punto da farle pronunciare parole dure davanti a una telecamera che era stata lasciata accesa, come fosse un fuorionda. Il giornalista de Le iene era stato già assolto in precedenza e ha testimoniato durante la scorsa udienza. La Uva aveva però anche definito su Facebook, citandoli per cognome, i due carabinieri dei «delinquenti». E aveva quindi postato una serie di conversazioni molto aggressive che tuttavia il giudice non ha ritenuto diffamatorie. «Non me la aspettavo di essere assolta — ha ammesso Lucia Uva al termine dell’udienza — ma comunque non mi sento felice. Se ho detto quelle cose in un certo modo, è anche perchè dopo 8 anni aspetto di sapere come è morto mio fratello. E lo Stato ancora non mi ha risposto». L’avvocato Luca Marsico durante il processo le ha chiesto di restituire un premio che le era stato assegnato da Amnesty International. «Comunque la difesa ha riconosciuto che Lucia Uva ha sbagliato. Auspichiamo che d’ora in poi vi sia un maggiore rispetto nei confronti dei nostri assistiti — hanno commentato Luca Marsico e l’avvocato Fabio Schembri — altrimenti non potremo tollerare certi comportamenti diffamatori».
Roberto Rotondo © RIPRODUZIONE RISERVATA