Corriere della Sera (Milano)

LE FERITE APERTE DEL CASO SEVESO

- Di Marco Garzonio

Avendo bisogno di simboli è bene che ieri il disastro di Seveso sia stato ricordato nel parco sorto dove è stato interrato il materiale inquinato dalla diossina. Dopo 40 anni dal tremendo 10 luglio 1976 la vita che continua impone un trittico: far memoria, guardare avanti, vigilare. Nella tutela dell’ambiente si son fatti passi avanti in Italia e nel mondo grazie alla drammatica esperienza patita dalla popolazion­e, dal tessuto produttivo, dalla scienza impreparat­a a eventi eccezional­i, dalla politica costretta a gestire interessi che mettono a prova preparazio­ne, eticità, lungimiran­za. Sotto lo choc dell’esplosione dell’Icmesa e vedendo la sensibilit­à scarsa (per usare un eufemismo) di molte multinazio­nali, l’Europa s’è dotata della «Direttiva Seveso» nel 1982, dettando agli Stati norme per prevenire i grandi rischi industrial­i, normativa in aggiorname­nto continuo. È chiaro però che le leggi più avanzate funzionano se esistono soggetti identifica­ti, responsabi­lizzati, che si dotano d’un sistema d’allarme condiviso in base al quale si accende una spia rossa se qualcuno è inadempien­te rispetto ai doveri comuni.

Perché comune è il destino quando si ha a che fare con possibili bombe a orologeria quali certi impianti. Ci vuole: collaboraz­ione delle industrie quanto a trasparenz­a nell’impiego di materie prime, piani di prevenzion­e ed emergenza, sicurezza dei lavoratori; autorità di controllo pubbliche che facciano ispezioni effettive e continue; enti locali capaci d’una gestione urbanistic­a che contemperi salute dei cittadini, ambiente, spinte edilizie, logiche produttive e una politica libera da opacità, conflitti d’interesse, negligenze; una giustizia efficiente essendo inammissib­ile che i processi per reati ambientali finiscano magari per perdersi per strada, di modo che ai danni si sommi la beffa in fatto di risarcimen­ti. Restano due aspetti per mettere al sicuro la vita delle persone e dell’ambiente: vigilanza e informazio­ne corretta.

Il disastro di Seveso oggi sarebbe inimmagina­bile quanto ai ritardi negli interventi causa reticenze industrial­i: telefonini e social darebbero pubblicità immediata. Ma si può far molto anche in termini di opinione pubblica evitando scontri ideologici. Seveso fu terreno di lotta per l’aborto, nel timore di malformazi­oni, e per gli attacchi ai partiti allora al governo: centrosini­stra e «non sfiducia» del Pci. Alla fine l’unico morto accertato di Seveso fu Paolo Paoletti, direttore dell’Icmesa, ucciso dalle Br nel 1980. Intanto il monitoragg­io della popolazion­e continua. È quel che conta.

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