LE FERITE APERTE DEL CASO SEVESO
Avendo bisogno di simboli è bene che ieri il disastro di Seveso sia stato ricordato nel parco sorto dove è stato interrato il materiale inquinato dalla diossina. Dopo 40 anni dal tremendo 10 luglio 1976 la vita che continua impone un trittico: far memoria, guardare avanti, vigilare. Nella tutela dell’ambiente si son fatti passi avanti in Italia e nel mondo grazie alla drammatica esperienza patita dalla popolazione, dal tessuto produttivo, dalla scienza impreparata a eventi eccezionali, dalla politica costretta a gestire interessi che mettono a prova preparazione, eticità, lungimiranza. Sotto lo choc dell’esplosione dell’Icmesa e vedendo la sensibilità scarsa (per usare un eufemismo) di molte multinazionali, l’Europa s’è dotata della «Direttiva Seveso» nel 1982, dettando agli Stati norme per prevenire i grandi rischi industriali, normativa in aggiornamento continuo. È chiaro però che le leggi più avanzate funzionano se esistono soggetti identificati, responsabilizzati, che si dotano d’un sistema d’allarme condiviso in base al quale si accende una spia rossa se qualcuno è inadempiente rispetto ai doveri comuni.
Perché comune è il destino quando si ha a che fare con possibili bombe a orologeria quali certi impianti. Ci vuole: collaborazione delle industrie quanto a trasparenza nell’impiego di materie prime, piani di prevenzione ed emergenza, sicurezza dei lavoratori; autorità di controllo pubbliche che facciano ispezioni effettive e continue; enti locali capaci d’una gestione urbanistica che contemperi salute dei cittadini, ambiente, spinte edilizie, logiche produttive e una politica libera da opacità, conflitti d’interesse, negligenze; una giustizia efficiente essendo inammissibile che i processi per reati ambientali finiscano magari per perdersi per strada, di modo che ai danni si sommi la beffa in fatto di risarcimenti. Restano due aspetti per mettere al sicuro la vita delle persone e dell’ambiente: vigilanza e informazione corretta.
Il disastro di Seveso oggi sarebbe inimmaginabile quanto ai ritardi negli interventi causa reticenze industriali: telefonini e social darebbero pubblicità immediata. Ma si può far molto anche in termini di opinione pubblica evitando scontri ideologici. Seveso fu terreno di lotta per l’aborto, nel timore di malformazioni, e per gli attacchi ai partiti allora al governo: centrosinistra e «non sfiducia» del Pci. Alla fine l’unico morto accertato di Seveso fu Paolo Paoletti, direttore dell’Icmesa, ucciso dalle Br nel 1980. Intanto il monitoraggio della popolazione continua. È quel che conta.