Corriere della Sera (Milano)

Il piccolo Alì: «Sono arrivato con la barca, dormo sul prato»

È arrivato tre giorni fa con uno zainetto: «Ho 14 anni, aspetto qui la mia famiglia»

- Di Elisabetta Andreis

Non sono molti, ma attirano l’attenzione. Quelli egiziani sono più piccoli degli altri, e stanno totalmente da soli. Alì dice di avere quattordic­i anni, ne dimostra meno. Arrivato in barcone, i fratelli hanno pagato per il suo viaggio e gli hanno detto di rimanere a Milano. Arriverann­o anche loro dopo, forse. Per il momento lui ha dormito sul prato. Spaurito. La migrazione, a quell’età, sembra un incubo.

Si riconoscon­o dalle ciabatte ai piedi e dagli occhi spauriti, si nascondono sotto gli alberi della Centrale. Numericame­nte pochi, ma attirano l’attenzione. Labbra arse e braccia magre, troppo. Eppure sono belli. Frotte di adolescent­i dal Pakistan e dall’Afghanista­n. Due o tre sono più piccoli. Vengono dall’Egitto e stanno da soli.

Uno di loro ha la maglietta lisa e sporca, maleodoran­te. Gialla. Non parla una parola di italiano, né di inglese. Vicino a lui sta seduto un adulto della sua nazionalit­à, conosciuto poco prima, lì in stazione. Almeno può tradurre. «Mi chiamo Alì, il mio nome è più lungo ma tu non lo capisci», risponde in automatico. Chissà se altri milanesi gli avevano rivolto la parola. Gli manca la mano sinistra, su quello non vuole raccontare. «Casa mia è nel sud dell’Egitto, sono qui da tre giorni». E come ci sei arrivato? «Su una barca ... no, non era un gommone, era una barca, tantissimo tempo. Però volevano dei soldi e io non li avevo». La migrazione è un’esperienza ancora più traumatica, a questa età.

Ma chi ti ha detto di partire? «I miei sei fratelli, sono più grandi di me, hanno pagato per il mio viaggio». E quanti anni hai? «Quattordic­i, ho il certificat­o di nascita nello zainetto». Forse però il certificat­o di nascita è di uno dei fratelli, lui sembra più piccolo. Non più di dieci, undici anni. «Mi hanno detto di venire qua perché lì in Egitto non c’era posto, devo rimanere a Milano e trovare da lavorare, poi vengono anche gli altri della famiglia». E hai parenti in Italia? «Ho gli zii ma non posso andare da loro, i fratelli mi hanno detto di no». Dove hai dormito? «Sul prato». Da solo? «Con un amico di mio fratello Ahmed». E dov’è lui adesso? «Non lo so». Non l’hanno avvicinato malintenzi­onati, per adesso. Ma domani? La Stazione di giorno offre qualche angolo di accoglienz­a, di notte diventa una delle zone peggiori. I ragazzini rischiano.

Sai che puoi chiedere aiuto alla polizia, alle comunità? Lui non risponde.

Ci sono almeno cento profughi, quasi tutti dall’Africa. Alì aspetta, fermo. Non si capisce bene cosa. Dove ti hanno detto di andare adesso? Quelli che erano sulla barca con te dove sono? «Alcuni sono qua in giro». Ma anche ragazzini? «Uno c’è, lo devo trovare ma non ha un telefono». E cosa ti aspettavi di trovare qui in Italia? «Faccio un lavoro». Ma non vorresti tornare a casa? «Domani sì».

Il lavoro «Qui ho dei parenti ma non ci posso andare, devo trovare un lavoro. In Egitto non ci torno»

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