Expo: «Il protocollo per la legalità sempre applicato negli appalti»
Gatti: neppure un pass assegnato alla Dominus. Il database a disposizione delle indagini
Per la Francia, praticamente poche ore dopo lo scoppio dell’inchiesta, era intervenuta direttamente l’ambasciata da Roma: «Il padiglione della Francia non ha avuto alcun rapporto contrattuale con le aziende chiamate in causa». Ieri, dopo alcuni giorni impiegati per passare al setaccio migliaia di file, è stata la volta di quel che resta dell’Expo: dall’inizio del lavori sino alla fine dell’esposizione — secondo quanto verificato dagli ultimi responsabili della società ormai in liquidazione — neppure un singolo «pass» su decine di migliaia, neppure per un camion, né per un singolo operaio, è stato emesso a beneficio della società Dominus coinvolta nelle indagini della direzione investigativa antimafia. E Stefano Gatti, il diplomatico del Ministero degli esteri che come General Manager Partecipanti ha gestito la presenza dei Paesi a Expo 2015, aggiunge anzi: «Il protocollo di legalità è stato sempre applicato da Expo, anche quando farlo era tecnicamente complicato. Naturalmente quel protocollo non dava all’Expo poteri investigativi. Ma imponeva di fornire a chi li aveva ogni informazione utile a esercitarli. È stato fatto con grande scrupolo, includendo anche le informazioni relative ai padiglioni dei singoli Paesi. E riteniamo che proprio il nostro database possa essere stato anche questa volta, come in diverse altre circostanze, uno strumento utile per le indagini. A cui siamo sempre tutti chiamati a collaborare».
Il resto è un riassunto tecnico di ciò in cui è consistito, in concreto, il famoso e mai così citato come in questi giorni Protocollo di legalità: esperimento firmato da Expo per la prima volta nella storia delle esposizioni universali e che solo altri sei Paesi — tra cui