Rezza & Mastrella «Guerriglieri della scena»
Stasera al festival «La Milanesiana» lo spettacolo «Anelante» di Rezza e Mastrella
«Anelante esprime la violenza non dei nostri giorni, ma la nostra in questi giorni; è uno spettacolo politicamente impegnato senza volerlo, siamo disinteressati alle attività minori del pensiero, la politica oggi è tra queste». Antonio Rezza & Flavia Mastrella, l’irriducibile coppia di «guerriglieri della scena», è ospite de «La Milanesiana», festival diretto da Elisabetta Sgarbi. Stasera alle 21, sul palco del Teatro Carcano (corso di Porta Romana 65 e, tel. 02.5518 1377), uno spettacolo che prende a sciabolate parola, azione, senso e spazio dove ogni risata è complicità, «sovversione».
«Anelante è un logorroico che parla anche quando legge e conosce solo ciò che dice», affermano gli artisti. «È l’emblema dell’eroe moderno che desidera il potere». Costretti in uno spazio senza volume, un muro piatto, linea di confine che chiude la carne che si ribella, (l’habitat creato da Flavia Mastrella), sul palco non c’è alcun personaggio: piuttosto entità, creature che abitano la scena.
Tra i momenti più interessanti, la metafora sui potenti della Terra, ognuno in balia dell’altro: «In scena siamo in cinque con altrettanti testi, li diciamo tutti contemporaneamente, le voci si sovrappongono e ogni significato si perde, lo spettatore pensa di essere libero di scegliere chi ascoltare, invece Anelante (Rezza, ndr) porterà tutti a sentire solo lui; un testo che parla di chi parla, autoreferenziale come il potere». Tema de La Milanesiana di quest’anno è la vanità, inte- ressante sapere il significato che le attribuiscono due artisti non allineati come loro.
«La vanità è il non saper rinunciare a uno specchio che ogni mattina decreta il nostro fallimento — dice Rezza —, io quando mi guardo, anche se le cose vanno bene e mi piace ciò che vedo, trovo sempre qualcosa su cui dissentire, soprattutto se mi guardo alla mattina con la carne sfatta. Mi sistemo faccia e capelli per cercare di limitare danni che non sono limitabili». La conversazione si sposta sul lavoro: «La mia più grande vanità è la capacità che mostro in ciò che faccio, non mi piacerei se non fossi tecnicamente bravo». Sul tema dell’estetica, le opinioni sono diverse.
«Oggi c’è un modello cosi omologato di bellezza che è difficile trovare qualcuno che sia sgraziato — afferma Rezza. «La vanità non è totalmente negativa, dipende dalla misura — aggiunge Flavia Mastrella — . Se è in giusta dose celebra la bellezza, se è in eccesso diventa idolatria. La nostra era esalta la vanità, tutti pensano di essere al centro del mondo, ma in verità non c’è sostanza. Facebook è l’esempio più evidente, uno strumento in cui molti acclamano se stessi, o meglio l’idea che ognuno ha di sé». Rezza prende la parola, taglia corto e conclude: «Comunque tra i vizi capitali la vanità è ben poca cosa, l’accidia è molto meglio… ma quello che mi piace di più è l’ira, oggi bisognerebbe dedicarle un festival, invitando gente davvero arrabbiata, non quelli che fanno finta di esserlo».
Sul palco, a interpretare la pièce, oltre ad Antornio Rezza, figurano Ivan Bellavista, Manolo Muoio, Chiara Perrini, Enzo Di Norscia.
Metafore «Un testo dove le voci si sovrappongono autoreferenziali come chi vuole comandare» Vizi «La nostra epoca esalta la vanità tutti pensano di essere al centro del mondo»