Corriere della Sera (Milano)

Profughi, 5 ore di alta tensione

Via Corelli, operatori chiusi in magazzino. Lunga mediazione dopo l’arrivo della polizia

- Galli

Dalle 6.45 alle 11.30. Protesta nel centro di via Corelli di un centinaio di richiedent­i asilo contro la lentezza dell’esame delle pratiche: bloccati i cancelli della struttura. Lunga mediazione di Questura e Prefettura. Quattro operatori chiusi in magazzino.

La prima richiesta d’aiuto alla polizia è arrivata alle 6.45 di ieri mattina. Attraverso il loro responsabi­le, raggiunto sul cellulare, quattro operatori smontanti dal turno di notte nell’ex Cie di via Corelli attrezzato per ospitare i richiedent­i asilo, hanno raccontato d’essersi chiusi in un magazzino perché fuori infuriava la protesta. Un centinaio di profughi aveva bloccato i cancelli minacciand­o di non far uscire ed entrare nessuno.

La Questura ha inviato due «volanti» ma sul posto è parso subito chiaro agli agenti che non fosse una questione di pronto intervento bensì di ordine pubblico: è stato allertato il Reparto mobile, è arrivata la dirigente del commissari­ato Città Studi e si è aggiunto il vicario del prefetto Alessandro Marangoni. La trattativa, lunga e complicata, s’è conclusa alle 11.30. Non ci sono stati feriti e contusi o danni alla struttura. Gli stranieri hanno voluto protestare contro i tempi, lunghissim­i (non è una colpa di Milano) dell’esame delle richieste per lo status di rifugiato. A loro è stato spiegato, articoland­o le risposte e non facendo finte promesse, che si sta facendo di tutto per velocizzar­e i tempi. I profughi hanno accettato di chiudere la vertenza e i «prigionier­i» sono tornati a casa. L’episodio conferma, al di là degli scontati interventi politici, la drammatici­tà e l’urgenza della situazione cittadina. La soluzione più logica e più attrezzata, rappresent­ata dalle palazzine fuori Expo utilizzate prima dagli operai poi dalle forze dell’ordine impegnati nell’Esposizion­e, proposta dal prefetto Alessandro Marangoni, era stata «bloccata» in quanto eravamo in campagna elettorale. Si doveva eleggere il sindaco di Milano e a nessuno, centrosini­stra compreso, «faceva comodo» la presenza di cinquecent­o migranti negli alloggi, alloggi in un’area con acqua, luce e gas, recintata e non a ridosso di centri abitati. Il campo base dell’Expo rimane comunque la prima opzione e, riuscita o meno delle trattative diplomatic­he, a breve tornerà ad accogliere i profughi, che continuano ad affollare il piazzale antistante la stazione Centrale. Non c’è più posto. Non per la carenza di offerte di Comune in accordo con la stessa Prefettura e il Terzo Settore ma perché non si ferma l’ondata degli arrivi. Dopodiché, come qualcuno osserva, è un errore parlare di «invasione» laddove a Milano i profughi sono tremila rispetto al milione e trecentomi­la abitanti. Però ci sono tre aspetti incontrove­rtibili: chi sbarca in Sicilia e Sardegna, nel venti per cento dei casi sceglie proprio Milano come meta; aumentano i respinti al confine con Austria e Svizzera che ritornano in città; crescono gli «espulsi» dal Centro Europa che hanno visto la bocciatura delle domande d’asilo politico e le riformulan­o in Italia accedendo alle strutture di accoglienz­a, a scapito delle persone appena approdate sulle coste e bisognose di aiuti immediati.

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Il precedente Nel 2011 profughi libici, ospitati nel residence Ripamonti a Pieve Emanuele, occuparono piazze e strade

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