La vita di Chet Baker al Franco Parenti tra talento e mistero
Storia e arte del grande trombettista con la voce di Popolizio e le note di Girotto
Dopo il documentario «Let’s Get Lost» di Bruce Weber sulla vita di Chet Baker, è davvero molto difficile aggiungere qualcosa di nuovo al ritratto complesso e contradditorio del trombettista californiano. Il nome di Baker, che divenne famoso negli anni 50 del Cool Jazz, divenne noto anche al di fuori dei circuiti degli appassionati: era un James Dean bello e maledetto, in modo non dissimile da Miles Davis (che però lo detestava), e il cui mito si nutriva di donne, droghe e vita bohémien.
Con la sua solidità d’interprete, Massimo Popolizio affronta la sfida di un ritratto in parte fantasioso, portando in scena la tormentata e geniale figura di Baker al Parenti per il spettacolo «Il segreto di Chet Baker» accompagnato dal sassofonista Javier Girotto; un ritratto che affonda le mani nella fantasia del romanzo di Roberto Cotroneo, pubblicato nel 2011 e da cui è tratto il reading.
«L’autobiografia di Chet Baker è molto cruda («Come se avessi le ali» Minimum Fax editore ndr) e non lascia spazio all’indulgenza, a cominciare dalla dipendenza dall’eroi- na», dice Popolizio, «i toni del romanzo da cui abbiamo tratto il testo «E nemmeno un rimpianto - Il segreto di Chet Baker» di Roberto Cotroneo giocano invece la chiave fantastica, immaginando che il musicista sia vivo e abiti in Salento». Una versione azzardata e curiosa per gli appassionati che ne hanno amato la musica fino alla tragica scomparsa il 13 maggio del 1988 ad Amsterdam. Una parabola artistica che cominciò alla corte di Charlie Parker e continuò col successo insieme a Gerry Mulligan fino all’approdo in Europa e spesso in Italia, fra mille problemi con la giustizia a causa della droga.
«Abbiamo scelto una serie di passaggi del romanzo per costruire una storia coerente ma che lasciasse spazio a un gioco di specchi fra vita e arte». La struttura dello spettacolo, curato da Teresa Pedroni, alterna e sovrappone la narrazione di Popolizio a interventi musicali del sassofonista Jareading
vier Girotto. «Attraverso le note di ”My Funny Valentine”», aggiunge Popolizio, «per molti critici il brano simbolo di Chet, cerchiamo di addentrarci tra luci e ombre, verità e fantasia, della sua biografia».
Popolizio non è nuovo a questo tipo di operazioni avendo già collaborato in passato con Fabrizio Bosso, per un altro omaggio a Chet Baker, e con Enrico Rava per un tributo a Charlie Parker, sempre fra musica e narrazione: «Sembra uno spettacolo semplice ma in realtà non lo è, è stato molto difficile rendere tutta la complessità del mito». Pensare a Baker vivo, eremita in Salento, come racconta il romanzo, vuole essere una chiave di lettura a una vita di per sé già al di là dell’ordinario. Un reading che avvicinerà anche un pubblico di non appassionati a una figura straordinaria che purtroppo non raggiunse mai la vera vecchiaia e terminò la sua vita da anziano cinquantenne, a suo agio solo sui palchi dei jazz club.
Lo spettacolo è tratto dal romanzo di Roberto Cotroneo dedicato al jazzista statunitense Eccessi L’attore: «La biografia è molto cruda, a partire dalla dipendenza dall’eroina»