Elling e Marsalis Il ritmo delle città chiude col botto
Due fuoriclasse per il finale della rassegna
«Il Ritmo delle Città» si conclude con un incontro di grande spessore all’Orto Botanico di Città Studi in via Golgi 18 (ore 21, € 30, con Area M Card € 20, info 02.95.40.94.82): l’abbraccio fra il quartetto del sassofonista Branford Marsalis e la voce di Kurt Elling. Gli ultimi concerti della rassegna erano all’insegna del canto, dal «Bigger Show» di Mike Westbrook a Sarah McKenzie, da Vanessa Rubin a Antonella Ruggiero; questa serata finale è quasi una ricapitolazione di ciò che il jazz vocale può fare oggi, non solo perché Elling è uno dei cantanti più duttili e appassionati della scena attuale, ma perché le sue invenzioni si intrecciano con quelle di Marsalis e del suo gruppo, un’eccellenza del jazz strumentale contemporaneo. Li si ascolta tutti assieme nel recente album «Upward Spiral», titolo che ben descrive l’approccio alla musica comune tanto al cantante quanto al sassofonista: il desiderio di far crescere il livello d’intensità emotiva ad ogni esecuzione, ad ogni assolo.
Ma i cinque musicisti (nel gruppo si ascoltano altre personalità di rilievo, Joey Calderazzo al pianoforte, Eric Revis al contrabbasso, Justin Faulkner alla batteria) si sono riuniti in primo luogo per «non suonare quello che propongono di solito», scegliendo un repertorio che attraversa l’intero mondo della canzone d’autore, da Jobim a Sting (con cui Marsalis ha suonato in molte occasioni). Marsalis, 56 anni ad agosto, si è ripromesso di esaltare la voce di Elling (più giovane di 7 anni) in primo luogo come se fosse uno strumento al pari degli altri; il cantante, per parte sua, è abituato a questa sfida e spesso nei suoi album propone sofisticate trascrizioni vocali degli assoli che più gli sono piaciuti ascoltando i colleghi jazzisti, da Coltrane a Jarrett. Quel che più conta, per garantire la spontaneità dei risultati musicali, è il fatto che «nessuno del gruppo», sottolinea Marsalis, «ha dovuto modificare le proprie concezioni musicali, perché i buoni musicisti sanno suonare in tanti stili diversi».