András Schiff tra Janácek, Bach e Béla Bartók
«In un mondo musicale sempre più globalizzato ci ricordano l’importanza di osare nuove vie»
«Sono stati primi brani che ho ascoltato. Avevo 5 anni, mi fecero innamorare della musica», ricorda sir András Schiff, grande pianista ungherese, cittadino britannico, da tempo di casa in Italia, nella campagna intorno a Firenze. I brani che tanto lo colpirono erano quelli del ciclo «Per i bambini composti» da Béla Bartók agli inizi del ‘900. «Mi entusiasmai così tanto che decisi di iniziare a studiare il pianoforte per poter un giorno suonare anch’io quelle deliziose melodie», racconta. E così è stato. Stasera, per il primo dei tre concerti che lo porteranno da qui a maggio al Conservatorio, artista «di famiglia» della Società del Quartetto, Schiff affronterà quei Dieci pezzi fatali, ispirati a melodie della tradizione ungherese e slovacca, a canzoncine di antichi giochi infantili.
E lo farà innescando un singolare dialogo tra musicisti da lui amatissimi: Bartók e Bach nella prima parte (il «Ciclo per bambini» e «Tre rondò su melodie popolari» alternati alle «Invenzioni a due voci bachiane»), mentre nella seconda il confronto sarà tra Janácek, gli schizzi pianistici di «Su un sentiero di rovi» e le trascinanti «Danze della lega dei fratelli di Davide» di Schumann.
«In queste ultime Schumann cita ironicamente la sfida tra Davide e i Filistei dando voce a due personaggi, il sognatore Eusebio e l’impetuoso Florestano. L’anima femminile e quella maschile impegnate a tener testa ai conservatori ipocriti che non vogliono accettare le novità della musica». Un manifesto poetico e ideale più che mai attuale. «In un mondo musicale sempre più globalizzato quei grandi compositori ci ricordano l’importanza di osare nuove vie e tener conto delle radici culturali e linguistiche. Conoscere la lingua in cui si esprime un artista è essenziale per conoscerlo davvero».
Per lui, che continua ad amare la sua patria nonostante sia stato dichiarato «persona non grata» per via delle sue posizioni contro il governo xenofobo di Victor Orbán, la lingua «madre» è ora quella della terra che l’ha accolto. Una nuova vita che gli ha regalato anche una seconda identità: András Schiff il pianista ungherese, e Andrea Barca, immaginario compositore fiorentino settecentesco, autore del dramma giocoso «La ribollita bruciata». «Schiff significa barca. Non ho fatto altro che tradurre il mio nome e cognome. Un gioco con cui ho dato vita a un mio ensemble, la Cappella Barca, di cui sono direttore e solista. Andiamo spesso in tour per l’Europa, ad aprile saremo a Vicenza con i Brandeburghesi di Bach».
Cosa si aspetta da questo nuovo anno? «Un po’ più di luce, un po’ più di pace... È difficile fare un simile augurio mentre tutto intorno sembra andare a pezzi, l’ottimismo è temerario, ma bisogna provarci. Credo nelle persone di buona volontà, credo in un’Europa unita e nella forza della cultura capace di sconfiggere i populismi biechi. Credo nella necessità di un’educazione musicale, per tutti e fin dai primi anni. I bambini sono il futuro».
Dal nuovo anno mi aspetto un po’ più luce e un po’ più di pace. L’ottimismo è temerario ma bisogna provarci. Credo in un’Europa unita e nella forza della cultura