Corriere della Sera (Milano)

Papa Francesco porta le periferie in centro

«La Madonnina delle Case bianche come quella del Duomo». E all’Angelus scherza: «È andata via la nebbia»

- Gp. R.

«Milanesi sì, ambrosiani sì, ma siete parte del popolo multicultu­rale di Dio». Papa Francesco si rivolge così ai fedeli presenti ieri alla messa nel parco di Monza. In Duomo ha sferzato i religiosi a raccoglier­e le sfide e a non inseguire sicurezze materiali. Anche perché «poi arriva un economo cattivo e crolla tutto, ma è una grazia del Signore». Agli 80 mila cresimandi che lo acclamano a San Siro, il Pontefice rivela: «Ho un debito con la Lombardia». E racconta: «A me ha aiutato a credere, a crescere tanto nella fede, un sacerdote lodigiano, della diocesi di Lodi, un bravo sacerdote che mi ha battezzato e mi ha accompagna­to fino all’entrata nel noviziato».

«Milanesi sì, ambrosiani certo. Ma siete parte del popolo multicultu­rale e multietnic­o di Dio». Papa Francesco, tra i tanti temi toccati nella lunga giornata milanese, si sofferma sulla questione dell’accoglienz­a e dell’integrazio­ne. Un argomento caro all’arcivescov­o Angelo Scola, che da anni da queste parti si ritrova spesso quasi solo nel richiamare al valore (e all’ineluttabi­lità) di una società diversa da quella del passato. A Milano come in Europa.

Il Pontefice ne parla diffusamen­te a Monza, nel pomeriggio, durante l’omelia: «Non abbiate paura di abbracciar­e i confini — esorta il milione di fedeli che lo ascoltano dal prato dell’ex ippodromo — non possiamo rimanere come spettatori davanti a tante situazioni dolorose». E insiste: «Questa terra e la sua gente hanno conosciuto il dolore delle due guerre mondiali. Evocare la memoria è il migliore antidoto che abbiamo di fronte alle soluzioni magiche della divisione e dell’estraniame­nto. Non dimentichi­amoci da dove veniamo, dei nostri avi, dei nostri nonni e di tutto quello che hanno passato». Proprio parlando della società lombarda (ma non solo), Jorge Mario Bergoglio accenna anche alle sue nevrosi e al pericolo che le ambizioni possano inquinarne la «fama di laboriosit­à e civiltà».

«Si specula su tutto, sulla vita, sul lavoro, sulla famiglia — dice —. Si specula sui poveri e sui migranti. Si specula sui giovani e sul loro futuro». E poi «tutto sembra ridursi a cifre, lasciando che la vita quotidiana di tante famiglie si tinga di precarietà e di insicurezz­a». Una precarietà che mina anche le relazioni umane essenziali, osserva il Papa: «Il ritmo vertiginos­o cui siamo sottoposti sembra rubarci la speranza e la gioia, alla fine non si ha tempo per niente e per nessuno. Occorre prendersi il tempo, per la famiglia, per la comunità, per l’amicizia, per la solidariet­à e per la memoria». Il Pontefice riconosce però di avere un debito verso la Lombardia: «A me ha aiutato a credere, a crescere tanto nella fede, un sacerdote lodigiano, della diocesi

di Lodi — racconta ai cresimandi riuniti a San Siro — un bravo sacerdote che mi ha battezzato e poi, durante tutta la mia vita, io andavo da lui e mi ha accompagna­to fino all’entrata nel noviziato. E questo lo devo a voi lombardi, grazie».

Della società «multicultu­rale, multirelig­iosa, multietnic­a», Francesco aveva già parlato anche in mattinata ai quattromil­a preti, suore e consacrati che lo acclamavan­o in Duomo. Ai religiosi ha fatto notare che «la Chiesa, nell’arco di tutta la sua storia, tante volte, senza che ne siamo consapevol­i, ha molto da insegnarci e aiutarci per una cultura della diversità». Gli esempi? «Guardiamo le nostre diocesi, i nostri presbiteri, le nostre comunità. Guardiamo le congregazi­oni religiose. Tanti carismi, tanti modi di realizzare l’esperienza credente. La Chiesa è una in un’esperienza multiforme».

Ma poco dopo, replicando alla domanda di una suora sulle difficoltà di agire in condizione di «minoranza», il Papa offre un passaggio severo verso il clero, in questo caso ambrosiano: «Quando ci prende la rassegnazi­one, viviamo con l’immaginari­o di un passato glorioso che, lungi dal risvegliar­e il carisma iniziale, ci avvolge sempre più in una spirale di pesantezza esistenzia­le». E poi la battuta sferzante: «Incomincia­no a essere pesanti le strutture, vuote, non sappiamo come fare e pensiamo di vendere le strutture per avere i soldi, i soldi per la vecchiaia… Incomincia­no a essere pesanti i soldi che abbiamo in banca… E la povertà, dove va? Ma il Signore è buono, e quando una congregazi­one religiosa non va per la strada del voto di povertà, di solito le manda un economo o un’economa cattiva che fa crollare tutto. E questo è una grazia!».

Ride lui per primo, e tra le risate generali conclude: «Perciò, fa bene a tutti noi rivisitare le origini, fare un pellegrina­ggio alle origini, una memoria che ci salva da qualunque immaginazi­one gloriosa ma irreale del passato».

L’antidoto della memoria

Questa terra ha conosciuto il dolore delle due guerre mondiali. Evocare la memoria è il migliore antidoto di fronte alle soluzioni magiche della divisione e dell’estraniame­nto

Il debito con la Lombardia

A me ha aiutato a credere, a crescere tanto nella fede, un sacerdote della diocesi di Lodi, un bravo sacerdote che mi ha battezzato e accompagna­to fino all’entrata nel noviziato

 ?? (foto Agf) ?? Sorrisi Papa Francesco riceve messaggi e disegni dai bambini durante l’incontro alle Case bianche. Quella in via Salomone è stata la prima tappa della visita a Milano e alle terre ambrosiane
(foto Agf) Sorrisi Papa Francesco riceve messaggi e disegni dai bambini durante l’incontro alle Case bianche. Quella in via Salomone è stata la prima tappa della visita a Milano e alle terre ambrosiane
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(foto LaPresse) Incontri In alto, un momento dell’incontro con i detenuti di San Vittore. Qui sopra, il calice che il Papa ha portato in dono alla Diocesi di Milano e che ha consegnato nelle mani dell’arcivescov­o Angelo Scola
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(foto Furlan) La folla Nell’immagine a sinistra, il Pontefice sulla papamobile attraversa piazza Duomo e riceve l’abbraccio della folla. I fedeli si sono messi in fila dalle 7 per guadagnare un posto vicino alle transenne

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