QUEL MULINO SOTTO ASSEDIO RELIQUIA DELLA MILANO CHE FU
anni (fino agli ‘80 del secolo scorso), grazie all’acqua del fontanile Cagnola, ormai in secca perenne, il frumento, il granoturco e il lino che abbondavano nella zona.
Duecento anni dopo le carte lo definiscono con il nome dei proprietari, cioè Lauzi, e di anni ne devono passare ancora una cinquantina prima di diventare definitivamente «Dorino», come si chiamava la famiglia che in seguito ne entrò poi in possesso. Segnala il gentile signor Biraghi, ingegnere di professione e per passione «archeologo» della Milano perduta, che, volendo, si può andare a scoprire il complesso, imboccando un viottolo che corre in mezzo alla sterpaglia. Si troverà, poco dopo, il mulino stesso in verità assai malandato ma con, al suo interno, le macine, gli ingranaggi e gli attrezzi, per contro, sorprendentemente intatti nonostante l’età; e fuori, la grande aia con intorno gli edifici rurali e le abitazioni tuttora integre in quanto periodicamente ristrutturate.
Chi fosse curioso del vecchio mulino ma non volesse seguire le tracce dell’ingegnere può comunque trovare in internet, sul blog «Urbanfile» , specializzato in segnalazioni di bellezze storiche e architettoniche milanesi, un’ampia collezione di immagini che, in parte, mostrano il «Dorino» quando ancora era attivo con la ruota che bagna nell’acqua del fontanile, e in parte la condizione attuale dell’intero complesso documentata nel dettaglio all’interno e all’esterno.
Peccato che, prevedibilmente, questo piccolo monumento del nostro passato presto sparirà, cancellato dalle ruspe: un’ennesima traccia, delle tante, di quel che un tempo eravamo, che si smarrisce. Traccia minore, però preziosa proprio nel suo essere minore. Intanto c’è già chi minaccia di incatenarsi alla macina del «Dorino».