Aiace e Prometeo Variazioni sul mito
Eschilo e Sofocle sui palchi di Pacta e Menotti
L’uomo, con la sua natura fatta di imperfezioni e fragilità, è al centro di due riscritture in chiave contemporanea del «Prometeo incatenato» di Eschilo e dell’«Aiace» di Sofocle, rispettivamente in scena, da questa sera fino al 2 aprile, al Teatro Menotti e al Pacta Salone. In «Prometeoedio» di Emanuele Conte, che ne firma anche la regia per il genovese Teatro della Tosse, la riflessione verte sul potere della conoscenza in relazione alla ribellione verso il potere divino, sull’amore per l’umanità e sul rapporto conflittuale padre-figlio. Come nella tragedia di Eschilo, il titano Prometeo viene condannato a soffrire in eterno, legato a una roccia ai confini del mondo, per aver rubato il fuoco, ovvero la conoscenza, e averne fatto dono all’umanità. Incatenato al centro della scena, realizzata con tubi da impalcatura e grate di metallo, Prometeo (Gianmaria Martini) subisce, tra musiche distorte e atmosfere dark, le «visite» degli altri personaggi. Sono Efesto, il dio derubato del fuoco; il coro impotente delle Oceanine; Ermes, emissario di Zeus; Cratos, incaricato di condurre Prometeo al suo supplizio; Oceano, un secondo titano che cerca invano di indurre il protagonista a pentirsi, e Io, la donna tramutata in giovenca, alla quale è negato il suicidio liberatorio perché il suo destino è quello di generare colui che libererà il titano dal suo supplizio. Prometeo rimarrà fedele ai suoi ideali ma, nella drammaturgia di Conte, «deciderà di farsi uomo, nella convinzione che la precarietà dei viventi sia comunque preferibile al terrore nel quale vivono gli dei per la paura di perdere la propria immortalità».
Al Pacta Salone è invece Ghiannis Ritsos a firmare la riscrittura dell’«Aiace», la storia dell’eroe greco, evocato dalla voce di una donna (Viola Gra- ziosi), che, pieno di dolore per non essersi aggiudicato le armi di Achille dopo la sua morte, non sa sopravvivere alla vergogna per aver fatto strage di greggi scambiandole per Achei grazie a un sortilegio di Atena. «L’Aiace di Ritsos — dice Graziano Piazza, sua la regia — è un eroe per forza, umiliato dall’impotenza della “normalità”, di ciò che gli altri gli impongono di essere. Un Uomo che combatte le sue vicende quotidiane, teso verso un percorso mitico, ma a cui il destino fa compiere azioni ridicole e che, infine, scopre la liberazione di perdere ogni cosa».