E anche questo attore è un vero cane
Sulla scia del levriero di Pascal Rambert, un altro quadrupede conquista la scena al Filodrammatici
Il cinema lo ha intuito da decenni, costruendo svariati copioni sulle loro imprese, da Lassie a Uggie, il jack russel di «The Artist». La televisione non è stata da meno, affidando spesso l’audience al loro intuito e alla loro simpatia, da Rin Tin Tin al commissario Rex. Per non parlare poi della pubblicità, nei cui spot sono ormai diventati dei veri e propri protagonisti. Ma se si esclude l’opera «Ferrovia sopraelevata» di Dino Buzzati su musiche di Luciano Chailly, nel cui quinto episodio entra in scena un cane in carne e ossa (l’anima del protagonista), il teatro non ci aveva ancora pensato, o forse non aveva ancora trovato il modo di portare il più fedele amico dell’uomo su un palcoscenico. Fino a oggi, quando i cani attori stanno facendo il loro ingresso nei cartelloni milanesi. Al Teatro dell’Arte della Triennale si è visto un levriero accucciato ai piedi di Pascal Rambert ascoltare un serio monologo sul ruolo dell’attore («L’arte del teatro»). Il mese scorso il pubblico del San Babila ha applaudito Toutou, star della commedia «Qualche volta scappano» di Pino Quartullo.
Ora tocca a Maga Magò, femmina border collie orgogliosamente inserita da Paolo Pietroni nel cast del suo «Ora Pro Nobis» al Filodrammatici. «“Ora Pro Nobis” è una storia sul valore degli amici come intercessori. Naturale che mi sia venuto in mente il mio amico del cuore, un bassotto di nome Schatz, “tesoro” in tedesco, che mi è stato al fianco per 16 anni. Ero cieco e lui mi ha guidato in un modo nuovo lungo i sentieri dell’esistenza. Non sarei riuscito a vedere e capire la vita, così come la vedo e la capisco ora, se non avessi avuto la grazia e il dono di questa esperienza. I cani sono guide non soltanto per i non vedenti, ma anche per chi ci vede».
Al centro della commedia, con la regia di Elisabetta Vicenzi, c’è Paolino, un ragazzo autistico che chiede ai santi di aiutarlo a ritrovare il proprio amico del cuore. «I santi, come gli amici, intercedono per noi, ci aiutano», continua Pietroni. «Quelli della commedia, chiamati dalla Madonnina, scendono dalle guglie del Duomo e si mettono a disposizione del protagonista. A differenza degli amici, però, che sono mortali, i santi sono eterni, figure ideali. Per questo, in omaggio a Dino Buzzati, cui la commedia è dedicata, ho scelto come immagine guida quella del suo Duomo trasfigurato in una roccia dolomitica, trasformato in una sorta di montagna sacra, senza guglie né figure. Così facendo Buzzati ha spogliato i Santi del loro significato iconico, riducendoli all’essenza. Perché il modo più giusto per invocarli, per farli vivere dentro di noi, è non vederli rappresentati. Così “sono” senza il bisogno di esistere».