Corriere della Sera (Milano)

«Ci chiamano eretici» I fuggiaschi cinesi cercano aiuto a Milano

Richiedent­i asilo cresciuti del 143%, metà arriva in città L’onda degli evangelici: Expo è stata la scusa per partire

- di Luca Rinaldi

I numeri degli ultimi due anni raccontano subito una storia inedita: il caso dei richiedent­i asilo politico in Italia arrivati dalla Cina: 358 nel 2015 e 871 nel 2016 (+143%). Di questi almeno 430 sono passati a Milano, dalla Casa della carità.

Dietro i numeri vicende che nulla hanno a che vedere con la tradiziona­le immigrazio­ne economica cinese. Flusso che ha portato nella sola Milano circa 27 mila persone, 332 mila in tutta Italia. Chi ha lasciato la Cina per lavoro è arrivato perlopiù dalle regioni della costa meridional­e dello Zhejiang, Fujan e Guandong, mentre i richiedent­i asilo arrivano da città come Pechino, Canton e Shanghai, oppure da regioni come Sichuan, Anhui, Shanxi ed Henan. «Un fenomeno di dimensioni considerev­oli che non si era mai visto prima e che ci ha spinto ad approfondi­re la questione, anche perché chi arrivava aveva comunque un lavoro e faceva parte soprattutt­o del ceto medio».

A parlare è Peppe Monetti, responsabi­le dell’area ospitalità della Casa della carità, ovvero il primo contatto per i migranti che passano dalla struttura di via Brambilla e in procinto di avviare le pratiche per la richiesta di asilo politico. Dai colloqui tra Monetti e i richiedent­i asilo emerge una risposta ricorrente: «Sono qui perché nel mio paese non posso professare la mia religione». Si dicono soprattutt­o cristiano evangelici e bersaglio in patria di punizioni, persecuzio­ni, pedinament­i e pressioni psicologic­he. Casi non isolati visto che già nel 2014 il New York Times ha riportato di una chiesa evangelica ufficiale distrutta e il caso di oltre 1.200 croci rimosse da luoghi sacri da parte delle autorità dello Zehijang che hanno arrestato i pastori che si opponevano.

«In tante aree rurali della Cina la situazione per i cristiani evangelici è diventata più difficile.

Sono considerat­i “setta eretica” e quindi ritenuti nemici del governo centrale», spiega al portale Open migration il sinologo esperto di immigrazio­ne Daniele Cologna, tra i fondatori dell’agenzia di ricerche sociali «Codici». Al momento sono almeno quattro i cittadini cinesi che a Milano godono del massimo grado di protezione stabilito dall’articolo 1 della convenzion­e di Ginevra in seguito a questi fatti, e nei prossimi due mesi la Commission­e territoria­le per il riconoscim­ento della protezione internazio­nale dovrà valutare altre decine e decine di casi.

Gli operatori, una volta accertata l’esistenza di questo flusso, si sono interrogat­i sul perché proprio dal 2015 sia partita la corsa all’Italia. «Una parte importante di queste persone — racconta ancora Monetti — si è avvalsa delle maglie più larghe sui visti in occasione di Expo. Si rivolgevan­o ad agenzie sul territorio, facevano biglietti aerei di andata e ritorno e un visto turistico». Un pacchetto da 5 mila euro circa per poi non fare più ritorno in patria. In molti sono infatti arrivati nella prima metà del 2015 e hanno fatto rotta verso la Casa della carità sei mesi più tardi per avviare le pratiche di richiesta asilo politico. Perché proprio nella struttura di don Colmegna? «Difficile dirlo con precisione. Sicurament­e — conclude Monetti — ha influito il passa parola, anche digitale: alcune pagine internet cinesi ci descrivono come un luogo che offre una buona assistenza, sicura e gratuita».

I racconti dei richiedent­i hanno il comune denominato­re dell’impossibil­ità di riunirsi in Cina per pregare, le pressioni fisiche e psicologic­he. Ma la paura più grande è quella di essere rintraccia­ti, tale che gli stessi cinesi evangelici vedono con sospetto anche i connaziona­li.

«Nei paesi più rurali — ha raccontato Zhang, 30 anni — ci si può imbattere dovunque in manifesti che recitano: “Attaccate le sette religiose, scoprite, denunciate e riceverete un premio”». Così la paura dei delatori è sempre dietro l’angolo. Ma la sensazione che la mano lunga di Pechino possa pescare anche da sola da queste parti è forte, soprattutt­o da quando la Banca centrale cinese ha bloccato i conti dei familiari di uno dei richiedent­i asilo una volta venuta a conoscenza dell’invio di denaro dalla Cina verso l’Italia. Una sorta di rimessa al contrario che ha fatto subito rizzare le antenne ai funzionari asiatici. Tornare in Cina? «No — racconta un’altra donna, Mei — perché se tornassi e continuass­i a credere in Dio ed evangelizz­are, prima o poi sarei arrestata di nuovo, mentre qui non devo nasconderm­i».

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