Ifigenia e l’ossessione del capro espiatorio
Carmelo Rifici mescola Euripide, Sofocle e René Girard nella rilettura del classico greco
In un geniale spettacolo in divenire che vediamo come in una prova, nel suo pirandelliano farsi, a cavalcioni tra reale e immaginario, ragionato e improvvisato, Carmelo Rifici offre «Ifigenia, liberata», non in Aulide né in Tauride, con la drammaturgia di Angela Demattè. Sia lei sia il regista sono in scena (interpretati da Mariangela Granelli e Tindaro Granata, bravissimi) in un corpo a corpo tra Vita e Mito chiamando in causa non solo il legittimo autore Euripide, ma anche Eraclito, Omero, Sofocle, l’Antico e Nuovo Testamento fino a René Girard con la sua attualissima teoria del capro espiatorio.
«Partirei da qui — dice Rifici — dall’ossessione di trovare oggi il capro espiatorio, classica esigenza della società in crisi come la nostra che vive momenti destinati ad essere mitici, come l’esodo di massa: la storia colleziona vittime e violenza, incastra due parole non a caso, Folla e Follia». Ogni fede ed estasi, tutte unite appassionatamente per raccontare gli Atridi super star: «Interpretandoli, riscrivendoli, ragionandoci, come faccio con Ifigenia e Latella fa con Santa Estasi, poi Donnellan, Mino Rau. È un lavoro che a nostra insaputa sta facendo l’Europa, mai stata così piena di tragedie. È proprio lo sguardo dei registi sul mondo che obbliga a destrutturare la materia classica per la violenza di una realtà che mette in crisi, smancazione. tella l’universo letterario teatrale, imponendo la misteriosa complessità del reale che non si fa catturare né irretire».
Si tratta di ancorare la drammaturgia passata al presente storico «ma senza fare lo sbaglio di semplificarla come si fa con gli strumenti della comunihanno Urge uno sguardo scarno ed utile, come quello di Girard: letteratura e attualità si corrispondono, togliendo al mito il tono poetico con cui l’aveva rivestito il palcoscenico». Per la produzione del Piccolo con Lugano in scena, che ha debuttato al Lac, regista e drammaturga pescato nella tradizione greca ma anche giudaica che offre una visione non legata solo al politico, ma al singolo. Il mondo ha bisogno di organizzare la propria parte violenta, ma la Bibbia non edulcora le nostre pulsioni nascondendole sotto la coltre ideologica. «Con Ifigenia vittima designata, noi cerchiamo di riprenderci uno sguardo reale senza aver la pretesa di dare risposte ma solo per il piacere di cercarle». Rifici e i suoi 11 attori cercano di mentire o fingere il meno possibile, alcune parti sono un poco improvvisate: sono le magagne della ricerca, ogni sera lo spettacolo può e deve essere ripensato, ci sono maglie abbastanza larghe nella struttura. Questa complessa ricerca Rifici la sta facendo dal Gabbiano di Cecov e la continuerà con la riduzione di «Uomini e no» di Vittorini, al Piccolo in autunno: «È sempre la stessa indagine, ci chiediamo cosa è un uomo: non attraversiamo il testo ma lo smontiamo e rimontiamo, usandolo come un filtro e strumento in balìa del tempo».