Corriere della Sera (Milano)

Documentar­io

C’era una volta il cinema Mexico (e per fortuna c’è ancora) «Noi, baluardo della cultura»

- Di Alberto Pezzotta a pagina

a libertà è la cosa più bella del mondo. La libertà è quella che io inseguo da sempre. La libertà è il sale della vita». Così parla Antonio Sancassani, esercente e patron del cinema Mexico. Uno che si ostina a lavorare in un mondo in cui le sale monoscherm­o sono diventate rarissime. Un solitario che sceglie i film da proiettare (e non se li fa imporre dagli altri) e che lotta per sopravvive­re in un sistema di monopolio.

Antonio Sancassani non è un mecenate. Per tenere aperta la sua sala, i conti devono quadrare. Ma proprio il fatto di essere ai margini gli ha consentito di scoprire e valorizzar­e film trascurati dai grossi circuiti. «Il vento fa il suo giro», «Singolarit­à di una ragazza bionda», «Il primo incarico» o i film di Elisabetta Sgarbi hanno fatto del Mexico una vetrina del cinema indipenden­te. Gli esordienti fanno la fila perché il loro film sia proiettato in via Savona. Sancassani dà udienza a tutti, ma è esigente sulla qualità. Ha troppo rispetto per il pubblico che lo segue e si fida delle sue scelte.

Michele Rho, giovane regista milanese, ha conosciuto Sancassani quando cercava una seconda chance per il suo «Cavalli». «Ogni volta che andavo da Antonio finivamo sempre a parlare d’altro: della passione per il suo mestiere, dell’emozione forte che ancora prova quando si spengono le luci in sala, della fatica di gestire un cinema in totale indipenden­za». E così è nato, senza finanziame­nti (ma con una confezione impeccabil­e) il documentar­io «Mexico! Un cinema alla riscossa». Il ritratto di un uomo, di un mestiere e di come è cambiato il modo di andare al cinema negli ultimi cinquant’anni.

La storia di Sancassani inizia sulle rive del lago di Como, a Bellagio. «Lì ho cominciato a vivere l’avventura del cinema. Il mio sogno era entrare nella cabina di proiezione del cinema del paese. Ci sono riuscito grazie a un mio amico che vendeva le bibite. Mi sembrava qualcosa di spaziale. Pensan- doci adesso, fa tenerezza. Poi ho preso in gestione quel cinema per molti anni. I miei genitori non credevano in questo lavoro, magari mi vedevano cuoco in un grande albergo. Ho un grosso cruccio: di non avere fatto vedere al mio papà, che è morto troppo giovane, le piccole cose che ho realizzato».

Nel 1980, arrivato a Milano, Sancassani rileva un cinema sull’orlo della chiusura, il Mexico, e lo rilancia. Punta sui film d’essai e sui film musicali. E nel 1981 decide di proiettare il cult «The Rocky Horror Picture Show» come a New York: con gli attori davanti allo schermo che reinterpre­tano le scene e interagisc­ono col pubblico. Per questo assolda gli allievi della Scuola del Piccolo Teatro, tra cui un giovane Claudio Bisio («Sono stati i primi soldi che ho guadagnato facendo questo mestiere»). Nasce così un fenomeno riproposto ancora oggi, e che ha trasformat­o una sala un tempo sperduta nelle nebbie della periferia.

Oggi il Mexico è diventato un baluardo di resistenza culturale in un quartiere modaiolo. «Ho settant’anni, non ho figli, ho avuto un male brutto da cui sono guarito… ormai alla mia età che cosa posso fare?», si chiede Sancassani. «Potrei vendere tutto e andare in Riviera a contare i gabbiani. Ma so che non mi divertirei. Andare avanti col Mexico è molto pesante. Però ci provo». Come dice Isabella Ragonese: «Sancassani è un santo protettore del cinema italiano».

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 ??  ?? Indipenden­te Antonio Sancassani, 70 anni, davanti all’insegna del cinema Mexico di via Savona 57, che rilevò quando era sull’orlo del fallimento nel 1980
Indipenden­te Antonio Sancassani, 70 anni, davanti all’insegna del cinema Mexico di via Savona 57, che rilevò quando era sull’orlo del fallimento nel 1980
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