«Mi disintossico dalla febbre di giochi e slot»
Massimo, 42 anni, in cura per ludopatia
«Liberiamoci dal gioco, ma soprattutto dalla vergogna». Massimo Pisani, in un giorno non casuale — il 25 Aprile — sceglie di non nascondersi più e parlare apertamente del suo problema. «Una vera e propria malattia» che gli ha distrutto l’equilibrio e gli ha fatto perdere il lavoro, «a volte anche la dignità». Con la moglie che in tutto questo gli è sempre rimasta accanto, assieme alla loro bambina di nove anni. «È iniziato tutto nel 2010, con le slot — racconta Massimo —. Avevo trentacinque anni e un lavoro di responsabilità come capo reparto in un ipermercato, mia moglie faceva la consulente. Eravamo contenti, stavamo bene. Anche se forse, a guardarmi indietro, una voragine mi mangiava già dentro, c’era qualche debolezza che non vedeva nessuno, nemmeno io. Altrimenti non me lo spiego, come ci sono cascato».
La prima volta, casuale: in un bar tabacchi. Vince. Da lì il piano inclinato, la discesa. Ma il pozzo nero l’ha inghiottito dopo: «Quando hanno iniziato ad aprire le sale gioco, fatte apposta per farti sentire al riparo da occhi altrui, con i vetri oscurati e le luci fioche — racconta —. È la perdita, non la vincita, che dà la scossa di emozione più forte. Una specie di gara col destino, una sfida, l’ebbrezza del vuoto e del pieno. Le monetine vengono risucchiate e tu ne vuoi di più, ancora di più». Neanche le notti erano libere da quel pensiero: «Il giocatore non dorme mai. Avevo perso il sonno, le risate, la capacità di prestare attenzione alle persone care». I soldi non bastavano «per procurarteli finisci per commettere anche piccoli illeciti». Per questa situazione lui ha lasciato pure il lavoro. «Mi vergognavo moltissimo. Se hai un tumore lo dici, se sei ludopatico no. C’è un forte stigma sociale. L’idea che se finisci nel gioco, hai una parte di colpa. E invece quando perdi il controllo, entri nel campo della malattia».
Secondo il dipartimento Dipendenze di Milano e l’esperto Riccardo Gatti, i numeri legati all’azzardo crescono, e alle cure arriva, peraltro in ritardo rispetto ai sintomi, solo una parte di malati: esplode il fenomeno tra i pensionati (un giocatore su tre ha superato i 55 anni) e l’altra fascia a rischio è quella dei giovani (13%). Un’altra analisi, condotta su 1.600 studenti di Milano e hinterland dal Centro studi Semi di melo con università Bicocca e Regione Lombardia, dice che il 16 per cento degli studenti milanesi delle superiori almeno una volta alla settimana spende denaro nel gioco. Il 2% può essere definito giocatore compulsivo, e il 25 per cento dichiara di avere in famiglia qualcuno che ha consuetudine con l’azzardo.
Massimo ha detto basta il 17 febbraio dell’anno scorso, entrando nella comunità coordinata dallo psicologo Simone Feder, La Casa del giovane di Pavia, che ancora lo ospita. Quarantadue anni, sette rovinati dal gioco, adesso molta voglia di ricominciare. «Ho fatto un colloquio di lavoro l’altro giorno — dice abbassando gli occhi —. Ero incerto se raccontare o no il mio percorso. Ora mi levo definitivamente la vergogna di una malattia che distrugge chi gioca e mette a rischio tutta la sua famiglia». Per lui ieri è stato un giorno speciale: «Sono, in questo 25 aprile, libero come mai mi sono sentito, negli ultimi sette anni».
Ex dirigente Massimo Pisani, 42 anni, da sette vittima di ludopatia. Lavorava in un ipermercato, ora è in cura in una comunità