La strage rimossa dei giovani operai
LA STORIA 17 APRILE 1908 Ricostruita la strage dei giovani operai sepolti dal crollo di un edificio a Milano
«Sono circa le quattro del mattino, due giovani uomini entrano a Bellusco. Arrivano a piedi da Milano, da dove sono partiti a mezzanotte, dopo una giornata di lavoro e dolore, con un andare svelto e pesante. Portano notizie dolorose». Era la notte tra il 17 e il 18 aprile del 1908. A Milano, poche ore prima, un terrificante incidente sul lavoro aveva devastato il cuore della città: durante il collaudo, con carichi di sabbia, una soletta aveva ceduto ed era crollato un nuovo edificio su due piani con terrazza panoramica da destinare a sede dei Grandi Magazzini tra via Meravigli e via San Vittore al Teatro, dove oggi c’è l’ex palazzo della Borsa. Dodici lavoratori furono sepolti vivi sotto le macerie, un ingegnere estratto in condizioni disperate, morì il giorno dopo. Cinque operai erano di Bellusco, quasi tutti minorenni: Federico Villa di 14 anni, Giuseppe Limonta di 16 anni, Luigi Fumagalli di 17 anni, Pietro Colnaghi di 19 anni, e Luigi Cereda di 24 anni. Quest’ultimo doveva sposarsi due giorni dopo.
Della tragedia parlarono a lungo i giornali del tempo, ci furono proteste, scioperi, funerali solenni, processi, dolore e polemiche. Poi, con gli anni, la vicenda venne dimenticata. Ora, Maria Teresa Vismara, preside in pensione e tenace appassionata di storia locale, l’ha riportata in luce. Con cura ha ricostruito «una storia di oscuri eroi del lavoro e del dovere e di un intero paese che pianse i suoi giovani». Pochi giorni fa ha pubblicato la sua ricostruzione sul notiziario comunale, il Primo maggio la vicenda verrà ricordata ufficialmente al cimitero, davanti al monumento a loro dedicato. «Fu una tragedia di povera gente — racconta Vismara — che ha ancora tanto da insegnarci».
Era il pomeriggio del 17 aprile 1908 quando il palazzo crollò, il Corriere della Sera il giorno dopo scrisse «agli occhi degli accorsi si presentava uno spettacolo spaventoso». Nessun soccorso fu possibile. «Smuovere anche lievemente le macerie sarebbe voler provocare una nuova catastrofe di cui non si possono misurare le conseguenze», spiegava il Corriere. I parenti in lacrime andarono a cercare notizie «ma le società che avevano costruito l’edificio subito si rimpallarono le responsabilità — spiega Vismara — e faticarono anche ad assumersi l’impegno dello sgombero per il timore che potesse esser vista come una sorta di confessione. Intervenne il prefetto, il recupero dei corpi fu lento, si arrivò al 26 aprile per completare il triste lavoro. Vennero trovati in condizioni raccapriccianti. Intanto gli operai senza guida e senza garanzia di paga entrarono in sciopero, e solo nel 1911 una tra le ditte fu condannata». «La vicenda — commenta il sindaco di Bellusco Roberto Invernizzi — ci ricorda la questione della sicurezza sul lavoro. Oggi ci sono sistemi per migliorare la sicurezza, ma i rischi ora sono più silenziosi e subdoli: contratti atipici, delocalizzazioni e chiusure rendono il lavoro meno sicuro in tutti i sensi».