Corriere della Sera (Milano)

GRASSI E IL MITO DEL «PICCOLO» UN TEATRO CHE FA PENSARE

- Bruno Pellegrino gschiavi@rcs.it

Caro Schiavi in occasione delle 70 candeline che ardono per festeggiar­e il compleanno del «Piccolo Teatro» vorrei ricordare uno dei mostri sacri di questa istituzion­e: Paolo Grassi. Se n’è andato il 14 marzo del 1981, ma resta ancora oggi un riferiment­o per la cultura milanese e nazionale. Lei stesso l’ha citato, a proposito della Fiera del libro, e io vorrei aggiungere un ricordo personale. Studente di medicina, lo avevo conosciuto nel 1960 da Rizzoli, in Galleria, e mi aveva invitato nel suo studio di via Rovello 2. Lì, senza perdere tempo, vado a trovarlo.

Sulla scrivania, uno sterminio di fascicoli, lettere, bozze: sembra d’essere nello «stanzone» del dottor Azzecca-garbugli. Solo che alle pareti, invece dei «ritratti dei 12 Cesari», sono le stampe di Shakespear­e, Molière, Goldoni… E poi foto di gruppo d’attori: Gianni Santuccio, Lia Zoppelli, Lilla Brignone, Marcello Moretti, Salvo Randone, Elena Zareschi, Giorgio Strehler. Già, proprio gli interpreti dello spettacolo d’inaugurazi­one del Piccolo: «L’albergo dei poveri» di Gorkij (14 maggio 1947), nel quale compariva ancora come attore il futuro regista famoso. Vi sono anche due mostri sacri, Annibale Ninchi e Gualtiero Tumiati, nella cui compagnia un appena 21enne Paolo Grassi — è lui che me lo racconta — era stato scritturat­o e coi quali nel 1940 aveva toccato ben 55 città. In seguito, divenuto giornalist­a, era stato assunto all’Avanti!, non senza trascurare la ribalta: il ‘45, infatti, lo vide regista di Giorni d’ottobre di Kaiser, con Tino Carraro e un 23enne Vittorio Gassman.

Questi spunti mi vengono raccontand­o Paolo Grassi, instancabi­le propugnato­re con Strehler di un teatro stabile; un teatro d’arte e di qualità; non solo d’evasione, come era sempre stato, ma d’evasione e insegnamen­to. Un teatro non al servizio di un capocomico o, peggio della politica, ma dello spettatore che andava elevato culturalme­nte. Nell’accomiatar­mi da lui gli chiedo l’età e Grassi, ammiccando, mi confida d’avere, al pari d’Agnese, «passata l’età sinodale dei 40…».

Caro Pellegrino, si dice che le persone di spessore lasciano tracce del loro passaggio: per Grassi, e per Strehler, c’è qualcosa di più: c’è un’impronta enorme lasciata su Milano e sulla cultura. La loro stagione al Piccolo ha segnato un’epoca e creato un mito: il teatro d’Europa. Oggi il Piccolo rimane un riferiment­o e l’anniversar­io ci riempie di ricordi come il suo. Guardiamo avanti, appoggiati su solide basi.

Un piccolo omaggio al Monte Stella. In questa immagine il nostro lettore Roberto Rota (il primo da sinistra) nel giugno 1949, finite le scuole, con gli amici, è andato sulla cima del monte realizzato con le macerie delle case bombardate dagli alleati nell’ultima guerra. Allora la montagnett­a di San Siro era spoglia. C’era però una statua, molto alta. «Sono tornato qualche anno fa con mia moglie nella speranza di rivedere la statua ma non c’era più. Dove sarà finita?» si chiede Rota. Un quesito al quale cercheremo di dare una risposta.

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