Ricatto, corruzione e sacrificio Uno Shakespeare tragicomico
Jurij Ferrini rivisita «Misura per misura». Con un finale a sorpresa
«Qual è il limite tra regole e comprensione dell’altro? Proibire è la via più facile inventata dagli uomini, ma solo con una responsabilità condivisa possiamo uscire dal cinismo che ci sta soffocando». Jurij Ferrini riflette sulla questione con «Misura per Misura» di William Shakespeare, un testo del 1603 che conferma la forza del suo messaggio. «La vicenda si svolge nel nostro tempo, in un Paese qualsiasi dove mettere incinta la propria fidanzata prima delle nozze è un reato da punire con la pena capitale», racconta il regista. Sul palco due fronti opposti, da una parte il condannato a morte Claudio (Raffaele Musella), e sua sorella che implora la grazia (Rebecca Rossetti) la novizia Isabella prossima al convento, dall’altro il vicario Angelo (Matteo Alì), freddo esecutore della legge, inviato dal Duca (Ferrini) per ripulire la città da corruzione e vizio. E mentre il Duca travestito da frate, nei bassifondi della città cerca di capire l’origine del peccato, nel palazzo del potere le regole s’infrangono. Il vicario s’innamora di Isabella e la ricatta, se lei si concede, suo fratello avrà la grazia.
Da questo momento il dramma si ribalta e si trasforma in un cinico «thriller antelitteram» dove tra processi e buffi svelamenti, il Duca è il burattinaio della questione e il finale un vero colpo di scena. «Una conclusione da favola, in questi tempi bui — sottolinea Ferrini — necessaria per porsi delle domande. I potenti ieri come oggi continuano ad esercitare il loro ricatto, qui Isabella decide di non cedere al vicario, piuttosto sacrifica la vita del fratello, quanti di noi oggi sarebbero disposti a mettere da parte il proprio tornaconto per difendere un principio e l’interesse del mondo intero?».
Uno spettacolo che suscita riflessioni anche sul fronte giustizia e carcere. «L’Italia è un Paese proibizionista la cui legge non porta lontano», continua Ferrini. «La maggioranza di detenuti è in carcere per reati legati allo spaccio di sostanze stupefacenti e molti altri perché non sono riusciti ad avere alternative al delinquere, persone che dovrebbero essere curate e aiutate. Una realtà che conosco bene, al carcere Marassi di Genova i detenuti che sono con noi al Teatro dell’Arca hanno una recidiva bassissima, i problemi non si risolvono chiudendo l’umanità dietro le sbarre, ma mettendoci a lavorare sulle nostre emozioni».